Morte e rinascita del concetto di distretto studiato dal prof Giovanni Carlini, sociologo-economista

Cos’è cambiato

Prima della “grande crisi del 2008” l’idea di distretto poggiava sulla sinergia tra piccole e medie imprese. Tutto sommato il concetto non era particolarmente complesso, il difficile forse era realizzarlo. Sostanzialmente molte imprese, anche piccole, si specializzavano in lavorazioni minute per contribuire a un “quadro generale” tale da formare “il prodotto”.
In questa maniera si sono abbattuti i costi d’assemblaggio, ad esempio di un divano come un capo d’abbigliamento, di un rubinetto e un paio di scarpe.
A questa mentalità, tipica degli anni Settanta-Ottanta sono state contrapposte 2 forti tendenze: la delocalizzazione e la svendita di conoscenze tecnologiche ai paesi emergenti, che oggi producono al posto nostro. Il colpo di grazia al sistema dei distretti è arrivato nel biennio 2008-2009 proseguendo nel 2010 e quindi 2011. Oggi cosa resta dei 101 distretti italiani? Nessuno manca all’appello, ogni realtà è ancora attiva, ma fortemente sfoltita perché diverse imprese sono fallite. Il sistema non ha saputo garantire la sopravvivenza a chi, già per suo conto, non si è fortemente evoluto sia sul piano della produzione che del posizionamento. Insomma il distretto andava considerato un trampolino di lancio e non un punto di arrivo.

Le dimensioni della crisi

Il terzo rapporto annuale sull’economia dei distretti industriali, redatto dal servizio studi d’Intesa Sanpaolo, discusso a fine gennaio è impietoso, pur considerando solo i dati del 2009.

a) Gli ultimi anni sono stati più difficili per i distretti rispetto alle aree industriali classiche, accusando nel 2009 una perdita di lavoro del 19,8%. Ciò ha anche comportato un calo dei margini operativi netti medi, che si sono fermati al 3,1% rispetto al 4,4 del 2008;

b) in proiezione 2010-2012 i distretti recupereranno (è la previsione) solo la metà del fatturato perduto nel 2008 e 2009;

c) per il 2010 si stima che il fatturato dei distretti sia cresciuto del 7,1% ovvero mezzo punto in più dell’intero manifatturiero, grazie alla maggiore propensione all’export, tipica di questo ambiente imprenditoriale;

d) entrando nell’are positiva di bilancio, per il 9% delle imprese dei distretti il fatturato è aumentato nel 2009 del 10% mentre solo il 5% ha goduto di una crescita del 20%;

e) il 70% delle imprese distrettuali alla fine del 2009 accusavano un livello di vendite ancora inferiore a 2 anni prima (il 2007) accentuando, in questo modo, la distanza tra le aziende migliori e quelle in difficoltà. In termini di margini operativi, dove in realtà si misura il senso stesso di “far azienda”, le migliori hanno retto laddove le altre hanno accusato un vero e proprio tracollo;

f) nel 2010 la tendenza alla divaricazione si è accentuata, aumentando il numero delle “eccellenze” nei distretti con buone performance sia come fatturati che margini operativi;

g) bene sono andati i 18 poli tecnologici che lo studio di Intesa Sanpaolo censisce per la prima volta, raggruppabili nel contesto dell’Ict, dell’aeronautico, quindi farmaceutico e infine biomedicale. Ebbene questi comparti hanno limitato le perdite nel 2009 sul 2008 al solo 4% rispetto all’intero mondo dei distretti italiani tradizionali, che ha sofferto mediamente cali del 20% Sono ancora forti gli echi della stampa economica italiana, che celebrò nel 2010 il “successo” dei distretti avendo subito solo un calo del 20% invece di quelli più gravi della meccanica e siderurgia.

Il grande valore dell’esperienza distrettuale

Il patrimonio imprenditoriale accumulato nell’esperienza dei distretti, non può andar perduto perché la stragrande maggioranza delle imprese non ha saputo innovare e fare ricerca.
Come ha recentemente dichiarato l’Ing. Orsi alla stampa economica nazionale nel 2010, parlando del distretto che dirige (quello aerospaziale Lombardo) “…chiaro che abbiamo già la nostra rete di fornitori, ma con il distretto contiamo di far crescere tecnologicamente le Pmi del settore ed è solo dalla somma di tante eccellenze tecnologiche che può nascere un grande progetto industriale.

Le formule del riscatto

Ciò che a Matera si chiama aggregazione, nel polo aeronautico è definita polarizzazione, ma il concetto non è poi molto distante. In pratica si parla di selezione della specie tra imprese.
Le aziende che hanno mosso in attacco contro la contingenza sfavorevole investendo, hanno trovato nel distretto la spinta per affrontare il calo del mercato. Al contrario, coloro che si sono poste sulla difensiva, tagliando i costi e perdendo maestranze, nella stessa dinamica del distretto, non sono riuscite a innovare e tantomeno a stabilizzarsi dentro nuovi mercati, per cui oggi sono ai margini della competizione e sopravvivenza se non hanno già chiuso.
Più semplicemente, riportando l’esperienza del distretto dei divani di Matera, l’idea in questo caso è quella di concentrare l’intera filiera in un solo stabilimento, rilevato dal fallimento di un grosso operatore del settore. L’obiettivo è quello di un’ottimizzazione logistica e della produzione con un taglio dei costi. In questo modo nel sito della ex Nicoletti, dovrebbero ricollocarsi 23 imprese che si riconoscono nel progetto “New age”, schierandosi su 35mila metri quadrati.

La fatica d’inventare qualcosa di nuovo

Massimo Scavazzin è un imprenditore del distretto della rubinetteria (nord di Novara) che afferma: “..non abbiamo idea di quante innovazioni e micro invenzioni troviamo tutti i giorni lavorando sulle macchine; soluzioni, idee che addirittura ci portano a progettarne di nuove. Ebbene tutto ciò non sappiamo ordinarlo e presentarlo a chi di dovere per godere anche noi di sostegni all’innovazione!”
Signor Scavazzin il distretto di cui fa parte soffre la concorrenza cinese? “Qui dobbiamo capirci su cosa si può dire e quanto invece tacere. Volendola raccontare tutta, per 10 anni in questo distretto sono stati fatti i soldi e tanti, vendendo ai cinesi macchinari e tecnologie che adesso abbiamo perso. Il guaio di vendere una tecnologia non è tanto d’aver monetizzato ritirandosi a vita privata, quando che non c’è ulteriore sviluppo. Se avessimo venduto e innovato, allo stesso tempo, si potrebbe anche capire la manovra sbarazzandosi della “parte bassa” e meno nobile di un ciclo produttivo, per cui se così fosse stato, ora saremmo ancora leader nel mondo; ma così non è stato”
Coniugando il pensiero dell’imprenditore Scavazzin con quello di Nino Scarcella, amministratore di Ergo Italiano, azienda produttrice di divani in Matera che aderisce al progetto New age, lottando contro una concorrenza non leale da parte della Cina afferma: “..la nostra scommessa è recuperare quella tradizione che ci accomuna nella realizzazione del manufatto”

Prima erano in 9 (febbraio 2009) oggi sono in 70 imprese

A dispetto di “tutti e tutto” il polo aeronautico lombardo nato 2 anni fa, ma attivo da appena uno, va a gonfie vele. Nel febbraio 2009 erano in tutto 9 realtà imprenditoriali, oggi sono 70.
E’ un successo! L’aggregazione in distretto ha permesso la partecipazione a importanti eventi fieristici (dove le singole Pmi non avrebbero mai potuto accedere). In tutto ad oggi ci sono stati solo 2 grandi appuntamenti (Berlino e Tolosa) ma questi hanno consentito di trattare direttamente con la Boeing. In ordine sparso, nessun grande operatore del mercato globale, avrebbe mai ricevuto nessuna delle nostre Pmi, per quando pregevoli e avanzate possano essere. Il tutto appare un controsenso senza apparente logica. Sembra che in questo mondo, così aperto alle comunicazioni informali, mai come oggi, “l’abito faccia veramente il monaco” Un’azienda che vale, ma non è in un contesto di polarizzazione o in rete, resta inesorabilmente tagliata fuori.
C’è un’altra considerazione importante da fare.
E’ impressionante notare non tanto lo sviluppo rapidissimo del distretto aerospaziale italiano, quanto il suo muoversi su un piano di “non concorrenza” dagli emergenti. Non che non ci siano prodotti cinesi o coreani come brasiliani sul mercato aerospaziale mondiale, ma questa pressione è infinitesima rispetto al mondo delle piastrelle, dei termosifoni o dei rubinetti italiani, per non parlare delle scarpe, tessile e divani. La grande e rapida evoluzione del comparto aerospaziale, vanta di poter “volare” con anni di vantaggio (non monti e in rapida riduzione) sulla concorrenza più spicciola degli emergenti. Questo conferma l’importanza strategia della ricerca e innovazione senza la quale, laddove fossimo allo stesso livello di chi lavora in spregio alla nostra cultura del lavoro, non avremmo scampo in termini di prezzi per la concorrenza. (noi siamo pagati dignitosamente e in condizioni sociali adeguate, sane e in grado d’assicurare lo sviluppo).

Eppur si muove

L’idea iniziale di dotare tutto il Paese di banda larga, per una navigazione veloce in internet è tramontata per assicurare i fondi alla Cassa integrazione. In questo modo degli iniziali 800 milioni ne sono rimasti solo 100. Cancellato il progetto iniziale, l’azione di governo si concentra ora solo su 73 distretti dei 101 esistenti. La lista è estremamente eterogenea passando dal distretto della sedia di Pordenone al nanotech di Lecce, quindi il calzaturiero di Corato, il vitinicolo di Avellino, il biomedicale di Mirandola e la ceramica di Deruda. In tutto 900 comuni, coprendo quello che il Ministero dell’Industria indica in 16 distretti dove il divario digitale è particolarmente critico. Questo vuol dire che sul piano infrastrutturale nazionale, seppur poco e forse in ritardo, gli adeguamenti ci sono e quindi l’humus per aprire aree di ricerca nelle singole imprese c’è, togliendo ogni scusa al fatalismo.

I distretti nautici

Qui la crisi è veramente pesante. Se va bene il comparto dovrebbe crescere nel 2011 tra l’1 e il 4%. In linea di massima l’uscita dalla crisi per questo settore avviene in maniera differenziata, in funzione della specializzazione. Per i cantieri di Venezia e Fano, con una forte propensione negli yacht più piccoli prodotti in serie, la crisi è stata devastante. Meglio è andata a Viareggio, dove la produzione è per yacht oltre i 27 metri e anche a La Spezia, dove vengono prodotti grandi battelli per la Marina Militare, commerciali e megayacht, contando su commesse pluriennali. Infatti Intermarine dei Cantieri navali Rodriguez, ha superato la crisi tornando a produrre cacciamine rispetto al naviglio da trasporto tradizionalmente realizzato. Le prospettive di rilancio sono rinviate al biennio 2012-2013

Internazionalizzare non vuol dire delocalizzare

In forza all’emendamento sulla revoca dei finanziamenti alle imprese che delocalizzano, inserito nel Programma regionale di sviluppo regionale della Lombardia alla fine del 2010, emerge che solo il 2% delle aziende della Regione ha intenzione d’emigrare.
E’ la fine di un’epoca. Oggi non si delocalizza più (trasferire la produzione destinata al mercato nazionale in altro stato) ma ci si internazionalizza, ovvero si apre una produzione all’estero per presidiare quel mercato ricercandone sbocchi commerciali. In questo movimento cala la tendenza verso l’Est Europeo, ma resta ancora forte con i paesi a incerta sicurezza del diritto come il Brasile e la Cina, dove il rischio paese è molto alto. Principalmente chi si internazionalizza sono le imprese manifatturiere, inserite in un contesto distrettuale.

Conclusione

Chi ha considerato il distretto un punto d’arrivo ha chiuso o è in forte crisi. Il futuro non è nel distretto in quanto tale, ma nella spinta che si riceve da questo “humus imprenditoriale” per sviluppare individuali programmi di ricerca e miglioramento organizzativo. Non c’è nulla da fare; i compiti (usando una metafora scolastica) vanno fatti individualmente.