Soprattutto ora non si deve cedere!

di Giovanni Carlini

Le attuali condizioni di mercato

Nessun timore: quanto stiamo vivendo è stato già sofferto nel primo trimestre 2009. Si tratta della stessa crisi subprime iniziata nel 2007 negli USA e a noi nota dall’estate del 2008. Non avendo risolto i problemi di fondo della crisi, (anche per questo l’Obama non sarà rieletto a novembre come il Sarkozy il 6 maggio) subiamo una ricaduta in corso dall’inverno 2011 e destinata a coinvolgere almeno l’intero 2012 se non spingendosi sul 2015. I dati raccolti in gennaio dall’Ucisap esprimono il disagio di chi è chiamato a fronteggiare l’inizio di questo lungo periodo di stasi.
Per il momento reggono gli ordini e i prezzi di vendita, ma i preventivi sono già a zero e le consegne crollano senza indugio.

Le prospettive a sei mesi

In un contesto così preoccupante le proiezioni a 6 mesi non possono che essere piatte. E’ vero. In questo caso “il percepito”, che emerge nel corso dell’intervista Ucisap, da parte degli stampisti italiani è perfettamente congruo con le proiezioni nazionali e a più vasto raggio sul mondo.
I prossimi 6 mesi sono di stallo, ma questo non vuol dire che le imprese si debbano fermare, perché come verrà illustrato in seguito, nel corpo stesso di questo studio, si può pensare a una fase di ripensamento dell’azienda per meglio ripartire, possibilmente a cavallo del 2012 con il 2013. Insomma non tutto è male ciò che appare.

I dati di gennaio

Esaminando i dati reali in termini d’orario medio settimanale per addetto in attrezzeria, sia per la lamiera che per la plastica, non ci sono significative modifiche, rispetto a novembre, da segnalare sia per piccoli che medi e grandi stampisti. Vengono confermate le 42 ore di lavoro procapite per i piccoli/medi stampisti sia nella plastica che nella lamiera. Per i grandi operatori l’orario medio si conferma a quota 40 nella lamiera come 44 in ambito plastica.
Sul carico di lavoro stimato in settimane si inizia a registrare un contrazione rispetto i dati di novembre, che passa da 6 a 5 nella lamiera per i piccoli/medi mentre sale da 9 a 10 nella plastica. Così da 9 a 8 nella lamiera dei grandi e medi operatori e in crescita da 10 a 11 nel comparto plastica. Abbiamo quindi una lettura invertita tra la plastica (in crescita) rispetto la lamiera.
Studiando i dati di gennaio dell’Ucisap
La situazione è descritta nei due grafici che seguono, che vanno interpretati come una situazione negativa ma fluida, indirizzata verso momenti ancora peggiori in attesa di un riscatto.

Lo scatto in avanti

Già il mese scorso si sono invitati gli stampisti italiani a “darsi da fare” in termini di:
– contratti in rete per diventare competitivi sul mercato internazionale, senza perdere le rispettive autonomie aziendali;
– oppure procedere per fusioni e acquisizioni.
Questo invito fu formulato nel paragrafo “la reazione” dell’articolo “niente panico” pubblicato su STAMPI. Non è che il concetto sia cambiato, anzi, a costo d’apparire autocelebrativo per chi scrive, ci sono delle considerazioni da fare, importantissime in questo periodo. Oltre che scrivere questo rapporto ogni mese, seguo un’impresa del nord est che è anche stampista. Ebbene “avvitando” concetti di contabilità industriale, gestione delle risorse umane e internazionalizzazione spinta, questa azienda di 110 dipendenti (10 unità in 8 mesi sono state portate a lasciare il posto) non ha subito alcun calo di fatturato (per il momento). In pratica i livelli di budget. prudentemente formalizzati a settembre (dopo aver capito come funziona l’impresa lavorandoci in consulenza da marzo 2011) sono oggi rispettati mese per mese.
Laddove abbiamo una grande impresa (perché oltre i 50 dipendenti) che agisce nel ciclo produttivo anche come stampista, che non risente dell’attuale ondata di crisi ma soffre gli insoluti, allora vuol dire che “la reazione” è possibile e che si può gestire efficacemente la crisi.
Più nel dettaglio va anche detto che la consulenza annuale prestata a questa impresa (meno di 30mila euro) non è costata nulla all’azienda, perché si è svolta nel contesto di un programma di formazione finanziato dalla UE e gestito dalla Regione. Non solo, ma la stessa consulenza è stata raddoppiata nel 2012 senza alcun aggravio per l’impresa, accedendo al credito d’imposta che ha valore fino al 31 dicembre 2012.
Detto in altri termini, l’azienda ha goduto e prosegue ad avvantaggiarsi di un “motore d’energia” senza sostenere costi, perché pagato con tasse in meno versate allo stato! Gli effetti sono il mantenimento dei livelli occupazionali (tranne la razionalizzazione d’obbligo subita con quelle dieci unità in meno) e il rispetto del budget con un fatturato che “tiene” le previsioni.
Le prospettive sono un ampliamento della quota d’estero sul fatturato cercando contatti in ben altri 61 paesi del mondo, appositamente scelti e una ulteriore riduzione della forza lavoro (forse quasi un 10% in meno) grazie all’introduzione di una serie di robot per il perfezionamento dello stampo. Nel campo della ricerca e sviluppo è stato avviato un progetto di ricerca per il miglioramento della materia prima utilizzata.
Ovviamente ci sono problemi: gli insoluti danno fastidio! Nel corso del 2011 e quindi anche in quest’anno si è accentuato il fenomeno dei ritardati pagamenti su piccoli importi coinvolgendo valori non superiori al 5% del fatturato in scadenza mensile, che comunque rappresentano un problema d’immagine. Fortunatamente il cliente non è indebitato con le banche, quindi non chiede linee di credito sostitutive agli insoluti e riesce a fronteggiare, “di tasca propria”, l’azione di disturbo che gli insoluti provocano.
Sicuramente questo livello di capitalismo industriale familiare, non coinvolto con il sistema bancario, consente all’impresa un profilo d’aggressività sul mercato senza eguali, ma è anche il frutto di un costante reinvestimento degli utili negli ultimi 50 anni.

La grande differenza

Bastano queste ultime parole per aprire una voragine nella quale prima o poi si ci sarebbe dovuti avventurare. L’imprenditore è un impiegato della propria impresa o un creatore di ricchezza? Spiegato meglio, l’azienda serve all’imprenditore come luogo di lavoro per guadagnarci o è una creatura (quasi un figlio) che fa crescere nei decenni? La differenza cruciale sta, ad esempio, anche nell’impiego degli utili. Laddove questi siano sempre reinvestiti e non utilizzati per il solo occasionale benessere della famiglia dell’imprenditore, s’individua in quest’ultimo caso la vera figura del “capitano d’impresa”.
E’ chiaro che le imprese destinate a soffrire molto e anche a chiudere non sono quelle dirette da imprenditori classici, che hanno coltivato la loro impresa per anni e anni, dedicandogli le attenzioni di una “persona della famiglia”. In effetti l’azienda è una persona giuridica, ma poche volte è considerata come una “persona” che vive, mangia e si veste nel contesto della famiglia. Il non aver capito questo concetto, utilizzando anche per fini speculativi la liquidità d’impresa, come spesso accaduto nel passato, espone oggi l’azienda alla crisi e forse chiusura.
Il paragone potrebbe essere fatto con un’auto: come mai fonde un motore che è stato spinto al massimo dei giri su un lungo tratto, solo per godere del vento nei capelli?
Scrivere queste cose significa colpire la sensibilità di qualcuno e questo è il rischio che si corre quando si va alla ricerca delle cause di una crisi sociale, che è anche economica, da cui il collasso del mercato interno. Con troppa superficialità ci si è inventati imprenditori come comandante di una nave da crociera e gli esiti sono gli stessi.
Oggi per riparare ai guasti del passato bisogna rifinanziare le imprese (anziché fallire e chiudere i conti che non si possono onorare, sperando di rincominciare da capo, senza cambiare la mentalità). La crisi non è affatto economica ma deriva da una strutturale superficialità in base alla quale, ad esempio sia l’euro che la globalizzazione sono delle bellissime idee ma applicate male. Ecco dove si è superficiali! Non nella creazione delle idee ma nella loro applicazione.
Se l’impresa, oggi in crisi, vuol proseguire a vivere deve:
– sganciarsi dalla banca, immettendo capitali propri;
– sganciarsi dal mercato interno e vendere per il mondo, accettando anche pagamenti in natura (caffè, riso, pesce) appoggiandosi a un istituto di credito, spesso straniero, che sappia tradurre la materia prima ricevuta in pagamento dal cliente in moneta corrente;
– utilizzare tutte le opportunità che lo Stato concede agli imprenditori (contratto in rete, credito d’imposta, formazione a fondo perduto con fondi UE) e non solo, bensì avvalersi di forze nuove capaci di saper gestire l’azienda in forme professionali anziché solo padronali e prudenti o spericolate come oggi spesso fatto.

Le prospettive

La crisi finirà, probabilmente verso il 2013/2014 ma a quel traguardo arriveranno solo coloro che hanno lavorato duro. Imprenditori che hanno saputo reinventarsi nel processo di produzione, che avranno investito e rifinanziato l’impresa sganciandosi dalle banche che rappresentano loro stesse una parte del problema. Va chiarito come la banca non sia la soluzione ma il problema! Necessita un Risorgimento culturale e nelle motivazioni per cui le imprese smettano d’essere solo lavoro e diventino parte dell’aggregazione sociale, in una comunità disorientata e spaventata. Gli strumenti per questa evoluzione (impossibile in Cina ad esempio) sono stati qui indicati. Buon lavoro.