Due passi verso la direzione giusta

Due passi per iniziare una risposta. Questo articolo è tra i più difficili in assoluto da pensare e scrivere, perché la redazione chiede un resoconto di chiusura e d’apertura a cavallo dei due anni che si stanno avvicendando. Il punto non è tanto ricordare quanto accaduto o prevedere, ma sintetizzare, in poche parole, dei concetti di grande complessità.

Partiamo dalla crisi della siderurgia italiana che è in realtà esprime il più articolato stallo del sistema manifatturiero nazionale. Sulla tragedia dell’Ilva appare subito come l’ex governo e magistratura lavorino non in armonia, ma per compartimenti stagni, trascurando l’interesse nazionale. Ciò svela un problema più profondo: il disagio di un Occidente che si fa male da solo e che non ha deciso cosa fare delle sue aspirazioni di benessere.

Abbiamo il coraggio di dirci la verità! L’Occidente non è dalla parte sbagliata del mondo, ha solo spostato (in forma suicida) le sue fabbriche in un altro continente infliggendosi la piaga della disoccupazione.

La delocalizzazione (in piena contrazione negli Usa da marzo di quest’anno per fronteggiare 14 milioni di senza lavoro) ha messo a nudo il problema principale: senza lavoro non c’è produzione di beni e servizi e quindi di benessere.

Forse su questo passaggio non c’è chiarezza.

La crisi dell’Occidente in corso dal 2008, oltre il folclorismo dei “subprime”, deriva da un fatto elementare: abbiamo trasferito il lavoro arricchendo altri e impoverendo noi (in realtà molti imprenditori sono ricchi per questo, ma la collettività ne paga il prezzo vero). Meno persone che lavorano significa meno buste paga, quindi minori consumi e ridotta produzione (il cane che si mangia la coda).

Si può uscire da questa trappola? Certo!

Che si tassino le imprese in maniera diversa: chi produce e vende in Italia con un 25% di tassazione sugli utili e chi lavora all’estero e importa in Italia al 70% con dazi doganali al 100%

Detto questo, passiamo sul piano personale: cosa possiamo fare individualmente quando tutto intorno a noi cade e si scioglie come neve al sole?

Recentemente ho assistito un’impresa nella trattativa con il sindacato, relativamente a una serie di richiami inflitti ai dipendenti per abbandono del posto di lavoro, scarsa produttività e assenza ingiustificata.

Ascoltando le parti resto allibito dalla rabbia che contraddistingue tutti, senza alcuna distinzione. Sicuramente il sindacalista sarà abituato alla degenerazione dei comportamenti, passando da un banale richiamo a fare meglio in una guerra senza quartiere. Che mondo di matti!

Sono uscito fuori da questa vicenda facendo accettare al sindacato tutti i richiami inflitti, ma profondamente scosso da tanta miseria umana (sottolineo da entrambe la parti). Se questo è vero e probabilmente già sperimentato da tutti, allora qualcosa non quadra non solo nel sistema economico, ma direttamente dentro di noi. Ecco l’epicentro della crisi. Il nichilismo (parlare per sentire il suono della propria voce, incurante delle ragioni altrui e far chiasso tanto per dichiararsi esistenti, malgrado tutto) colpisce da diverso tempo l’intera nazione, reduce da una importante stagione di individualismo esasperato. Ne consegue che basta dire qualcosa a qualcuno, anche se non viene capito, e improvvisamente le persone “scattano” in una reazione di estremo nervosismo. Non siamo più capaci di “darci un taglio” avendo trasformato la vita in “sangue marcio per un fegato gonfio”. Cosa fare?

La ricetta per questa malattia potrebbe essere quella di fare due passi. Uno indietro dalla percezione di se stessi (smetterla di sentirsi figli di un Dio maggiore e intoccabili) e un altro passo in avanti nella propria vita personale e privata, riscoprendo quei valori (famiglia, figli, l’amore) che spesso sono dimenticati o messi da parte nel quotidiano.

Gli altri non so quante vite abbiano a disposizione da vivere, ma certamente io ne ho una sola dove il giorno trascorso non mi viene restituito.

È saggio smetterla di essere nervosi, schizzati, alterati, nichilisti (di colui che reagisce per il solo gusto di farlo fine a se stesso) per ritornare ai valori che sono prima di tutto privati e solo dopo pubblici.

Abbiamo dimenticato la vita privata e anche il pudore a vantaggio di sbattere tutto in piazza in un esibizionismo maniacale.

Ricordo una paziente che in terapia confessò: con solo mio marito e un’altra coppia amica al ristorante mi sento sola, ho bisogno della folla anonima intorno a me. Ebbene questa è una patologia comportamentale.

Il consiglio che qui viene lanciato per gestire una mortale crisi del capitalismo per eccesso di delocalizzazione, è quello di fare un passo indietro dal protagonismo pubblico e uno in più nella sfera del privato.

Grazie e auguriamoci buon lavoro facendo due passi.