The Prisoner of Parkinson, la cura. Affinchè una persona si possa curare deve sapere cosa ha addosso, il perchè e il percome. Quanto appena affermato non è una regola che vale per tutti, infatti ci sono malati che non guariranno mai ed altri che combattono la malattia con forza, determinazione e dignità. In tal senso nella Teoria si parla di militarizzazione della risposta alla malattia.

Concetti di questo tipo non sono estensibili a tutti, anzi, la Teoria è applicabile a una minoranza. La domanda che insorge con grande prepotenza è: gli altri?

Questo è il punto.

Una Teoria dovrebbe valere per tutti o rappresenta una soluzione per solo quelli che la conoscono e vogliono intraprendere?

Quante domande!

Dalla notte dei tempi il dolore attanaglia la mente degli uomini e donne riducendoli a poco o nulla che si rotolano su se stessi. Il dolore è il vero padrone dell’essere umano. La farmacologia deve prima di tutto limitare o spegnere il dolore e poi, solo poi, forse, curare il male (esistono comunque dei farmaci detti “pagliativi” che non fanno nulla). Solo spegnendo la sofferenza è possibile pianificare una soluzione alla malattia. Tutto ciò è umano e giusto.

La Teoria, The Prisoner of Parkinson non entra in conflitto con queste direttive di massima; spegnere il dolore e curare successivamente il male in noi.

Condividendo e convergendo sugli stessi concetti, la Teoria però parte da premesse diverse che sono:

  • il paziente deve conoscere l’origine della malattia (se rintracciabile);
  • quindi pianificare una reazione che rappresenti un cambio di stili di vita evitando quelli che hanno generato il male;
  • aggiungere una linea farmacologica, ma solo se sostenuta da un cambio d’abitudini da parte del paziente (unire il farmaco alla volontà del malato di smettere di sentisi tale – inizio del concetto di “militarizzazione”);
  • ri-pianificazione completa della vita privata del paziente con un nuovo e diverso percorso vitale (diversi abiti, letture, studi, cibi, atteggiamenti, interessi tale che prosegua la militarizzazione di risposta al male);
  • intenso recupero della fisicità e sessualità in forme talmente diffuse e importanti da far impallidire quanto già fu in età giovanile. Ora il sesso e la fisicità diventano cura e riabilitazione rispetto al gioco dell’età giovanile. Chi non è più in coppia o forse non lo è mai stato, s’organizzi e provveda a ricercare quanto avrebbe dovuto fare anni, molti anni prima: non è mai troppo tardi. La sessualità in età adulta è una cura! 

La sostanza della Teoria The Prisoner of Parkinson è tutta qui: un paziente che reagisce, militarizza la risposta, cambia la sua vita per essere più sano e ricorre anche alla farmacologia come sostegno esterno, ma non primario.

In tutto ciò la fisicità è strutturale; carezze, abbracci, nudità e nudismo, sessualità, riscoperta della capacità fisica di percepire attraverso l’epidermide il vento, sole, caldo-freddo, natura e realtà.

Con quest’ultima procedura il sistema nervoso si risveglia e impara a dialogare con la nostra vita anziché rispondere nei termini classici di nervosismo e tensione a cui è stato sottoposto per un’intera esistenza. Quest’ultimo è un passaggio dedicato all’Alzheimer e al Parkinson dove il malato è il sistema nervoso ma resta condivisibile in ogni altra patologia.

Idee per gestire il male e tentare di guarire in malattie che portano a morte il malato soffocandolo giorno per giorno, come fu per mia madre con l’Alzheimer.

parkinson prisoner