La locomotiva tedesca uscendo dalla stazione lancia un avviso: seguitemi e non fate di testa vostra.

La locomotiva tedesca uscendo dalla stazione lancia un avvertimento: fate squadra con la Germania pena il benessere nella Ue.

Un paio d’anni fa, per un editore, scrissi un dossier Germania il cui titolo fu: “Una locomotiva ferma in stazione”. Non è passato molto tempo che il quadro complessivo è profondamente cambiato; quella locomotiva ora corre per tutta Europa.

Quanto qui scritto non vuole andare ad aggiungersi a tutto ciò che è già stato pubblicato sull’argomento, perché ha un altro obiettivo: il taglio sociologico.

Le aziende e in tal senso dico proprio tutte le imprese italiane, hanno dimenticato o mai introdotto nella loro gestione, concetti di sociologia. A volte si contrabbanda la gestione risorse umane (nei casi più evoluti d’impresa) con la sociologia, ma è solo una scorciatoia! Questa mancanza è grave, perché incide sulla produttività.

La sociologia in azienda serve a raccordare le regole condivise di una comunità, con le singole necessità delle persone. Quindi ben introdurre il singolo nel clan aziendale. Se questo avviene, il personaggio lavorerà meglio e produrrà di più. Quindi serve un organigramma (meglio se corredato da foto), un mansionario, dei tesserini d’identificazione, una tuta o divisa se possibile, una mensa, forse un asilo, una bandiera nazionale nel luogo di produzione, l’istituzione del dipendente del mese, biglietti premi per viaggi ai meritevoli, aggiornare gli stili di lavorazione chiedendo ai dipendenti/operai il loro parere, abbattere il nervosismo e la “fretta” (che nulla conclude). Inoltre serve spiegare e permettere alle persone di capire come agire con gli altri; a conti fatti e ormai noto perché scritto diverse volte, un politica del personale di questo tipo abbatte mediamente del 12% i costi di gestione aziendali.

Quest’introduzione serve per capire il fenomeno tedesco, che solitamente viene spiegato con numeri e aspetti numerici/economici, ma mai sul piano umano che in realtà è poi il motore di tutto.

Non è che i tedeschi abbiano inventato qualcosa, in realtà sono 80 anni che se ne discute negli Stati Uniti, ma lo hanno anche tradotto in termini sindacali. Nel dettaglio e come verrà elencato fra poco, il “pacchetto Harz” è stato possibile solo perché nel tessuto aziendale tedesco, per anni si è discusso e applicata la sociologia, che ha lasciato oscillare il pendolo delle opportunità dalla cogestione degli anni Settanta, Ottanta al “salario integrale” di oggi.

Vediamo i vari aspetti con ordine.

Nel secondo trimestre di quest’anno, il sistema Germania è cresciuto, in termini di PIL del 2,2% contro le stime ancorate all’1,3%. Anno su anno, lo sviluppo di ricchezza sociale tedesco è del 4,1% ovvero più del doppio di quanto Eurostat ha stimato per l’area UE.

Alla base del successo “d’Oltralpe” nella regione mitteleuropea, non c’è solo l’export, che ne rappresenta la manifestazione più immediata, ma in realtà lo sviluppo è strutturale e fonda la sua origine nelle scelte che furono adottate immediatamente dopo il 1992 all’atto della riunificazione.

La locomotiva tedesca uscendo dalla stazione lancia un avviso in questi termini: fate i compiti a casa e chiudete il vostro Mezzogiorno. In realtà il concetto è lanciato all’Italia per il sud ma alla Spagna per le regione Basche come agli inglese per Scozia e Irlanda del nord.

La crescita tedesca, sistemando l’est ai livelli dell’ovest ha assunto una velocità tale che adesso è la più elevata dall’epoca della riunificazione, perché sono giunti a maturazione dei passaggi cruciali nell’organizzazione del sistema manifatturiero che, si rammenta, è il più forte in Europa.

Questi passaggi chiave sono:

a) nel confronto con l’Italia, anche a parità di settore merceologico, le aziende tedesche sono più grandi (si conferma il cosiddetto concetto “mittelstand” dove si possono trovare i tesori nascosti dell’imprenditorialità tedesca per ingegno e operosità)

b) le medie imprese si difendono meglio sul mercato globale e questo è stato visto sia in Asia che nelle Americhe, la cui ripresa è più forte rispetto l’Europa, perché queste regioni sopportano in forme più adeguate i costi dell’internazionalizzazione, che sono molti forti in logistica, per la strutturazione delle reti di vendita, quindi l’avviamento delle nuove imprese e infine nel mantenimento delle relazione commerciali;

c) l’industria tedesca si è concentrata in settori meno esposti alla concorrenza da parte dei paesi in via di sviluppo. In questo modo ha evitato quella parte di beni prodotti dove la dinamica della domanda è tradizionalmente più bassa e la concorrenza spietata;

d) l’export di macchinari verso i paesi emergenti è uno dei punti di forza;

e) è stata realizzata, e non senza fatica, una controllata delocalizzazione verso est (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) per quei segmenti di produzione a alta intensità di lavoro, che tradizionalmente penalizza la competitività delle proprie merci;

f) su questo aspetto va però considerato anche un processo di ritorno in Patria per alcune produzioni, (pentole e casalinghi non elettrodomestici) in grado d’offrire al mercato interno sia prodotti di base a basso costo che a più sofisticato livello allargando così la gamma di scelta al cliente;

g) l’applicazione nella normativa sul lavoro del cosiddetto “pacchetto Harz” che ha suggerito, nelle relazioni industriali, un nuovo livello di comparazione tra il salario reale, il livello di occupazione, gli investimenti in capitale fisso e immateriale e infine la produttività del lavoro. In pratica non ci sono più variabili indipendenti;

h) c’è un forte sostegno dello Stato nelle esportazioni tedesche.

La locomotiva tedesca lancia l’urlo alla Ue.