Infortunistica; una parola e un concetto-sistema, in grado di mobilitare un insieme di riflessioni che raramente vengono sviluppate. Mi spiego. Solitamente di fronte all’infortunio “sbrigativamente” si chiude la vicenda per catalogarla nell’errore umano. E’ vero, l’umano spesso ha i capelli lunghi e il macchinario risucchia l’operatore stritolandolo (accaduto in Toscana a una giovane mamma apprendista) o all’atto dell’incidente la persona era al telefono parlando di fatti suoi (fatto molto diffuso). L’analisi però non può e deve fermarsi a questo stadio della constatazione perchè studiando la struttura organizzativa dell’impresa o Ente dov’è accaduto l’infortunio emergono aspetti riconducibili a due concetti che sono:

  • l’incidente organizzativo;
  • la normalizzazione della devianza da cui emerge la miopia organizzativa.

Una ricerca di questo livello schiera la sociologia dell’organizzazione al servizio della sicurezza sul posto di lavoro e non solo.

Per definire i due concetti anticipati è necessaria una spiegazione così strutturata:

INCIDENTE ORGANIZZATIVO

L’incidente organizzativo non è un evento che casualmente potrebbe anche accadere, piuttosto la risultante d’un insieme d’aspetti organizzativi e della carente cultura della sicurezza (che potrebbe anche non esserci come verrà spiegato di seguito) all’interno di un sistema di controlli difettosi. L’incidente organizzativo è un evento studiato in dottrina da Maurizio Catino, sociologo italiano che insegna a Milano presso la Statale e Bicocca, che lo traduce nei termini di miopia organizzativa.
Si definisce miopia nel contesto organizzativo, la difficoltà, da parte della dirigenza ad individuare condizioni di potenzialità o rischio dell’intera struttura diretta. Per la precisione, Catino, indica tali condizioni come “segnali”.
Oltre agli studi di Catino del 2009, in dottrina, ci sono anche quelli dello psicologo britannico James Reason del 1977, pubblicati nell’ambito dell’Università di Manchester, concentrati sui disastri avvenuti nei trasporti ferroviari.
Insieme, questi ricercatori spiegano come “l’incidente”, tradizionalmente risolto nei termini d’errore umano, in realtà è stato favorito da una serie d’aspetti strutturali ed organizzativi che sono:
– scatenante; un elemento che ha scatenato il fatto sicuramente riconducibile al fatto umano;
– elementi critici latenti da indagare di volta in volta ed è qui che si nota una profonda divaricazione tra elemento organizzativo e approccio alla sicurezza, dove il primo non è affatto automaticamente connesso al secondo. Significa che è un errore immaginare che l’organizzazione e la sicurezza rappresentino un unico aspetto istituzionale degli Enti ed Aziende. La realtà è che l’organizzazione non richiama automaticamente codici e standard di sicurezza che vanno invece studiati ed applicati di volta in volta;
– a questi elementi segue una necessaria analisi normativa delle responsabilità il che comporta, normalmente il non apprendere dai propri errori (studi di Michel Crozier, sociologo francese 1922-2013 e Alvin Gouldner, sociologo statunitense 1920-1980);
– e infine un’analisi sociologica e tecnica della successione dei fatti accaduti per capirne le dinamiche (esempi tipici sono sia il pilota d’aereo ubriaco, sia il comandante di nave troppo impegnato nella relazione sociale mentre svolge una manovra pericolosa)

L’insieme dei passaggi esaminati tra elementi e analisi contribuisce a definire l’inerzia organizzativa all’interno della quale si scorge l’incidente organizzativo.

Analizzando, ad esempio i documenti agli atti redatti nello studio del Caso Costa Crociere-Nave Concordia, C.te Schettino a conclusione della definizione d’incidente organizzativo s’introducono 3 concetti che sono:
– la finestra di recupero (ovvero la possibilità di riprendere in extremis l’errore commesso, una finestra che spesso non è valorizzata da chi ha materialmente commesso l’errore);
– il concetto di disastro annunciato (accade perchè l’organizzazione non ha saputo correggere i propri errori organizzativi. E’ il caso realmente accaduto sulla Nave Concordia di un timoniere che non parla italiano e un secondo Ufficiale che non è intervenuto di fronte all’errore dell’operatore) e quindi un gruppo di lavoro non assemblato e cooperante come dovrebbe, il che individua una precisa responsabilità della Società di Navigazione);
– e infine disastro evitabile se l’organizzazione avesse emesso delle disposizioni che scoraggiassero alcuni atteggiamenti (il riferimento è al cosiddetto “inchino” anzichè favorirli come manovra pubblicitaria)

NORMALIZZAZIONE DELLA DEVIANZA

La normalizzazione della devianza è un concetto che ci è stato spiegato dalla sociologa americana Diane Vaughan nel 1996, proveniente dall’Università di Chicago e si riferisce a un processo per la quale piccole violazioni e irregolarità vengono accettate procurando un progressivo e costante sgretolamento delle normali procedure di sicurezza e abitudine consolidata. Queste deviazioni, non procurando imminenti incidenti, si normalizzano diventano prassi. Nel caso già citato della Nave Costa Concordia la normalizzazione della devianza riguarda ad il comportamento del Comandante nel produrre “inchini” al mezzo in prossimità della costa per effetti scenici (lo stesso sindaco dell’Isola del Giglio scrisse ringraziando la Compagnia Navale per gli inchini eseguiti al passaggio nel natante nei pressi del porto e la stessa Capitaneria di Porto sapeva senza commentare). Certamente la ricerca della sociologa americana, Diane Vaughan ci offre un punto di vista interessante.
Significa che nella devianza, un elemento fondamentale e costitutivo, è l’assuefazione allo stato di distacco dalla norma. Mi spiego. In condizione d’abuso di sostanze alcoliche tale uso diventa consuetudine ovvero abitualità e pertanto normalità per cui è “giusto” e corretto essere alterati da sostanza alcoliche se devianti altrimenti, non si entrerebbe nella devianza, ma solo nell’occasionale abuso.

Ne consegue che è deviante colui che abitualmente e sistematicamente devia da una regola di correttezza e sanità mentale come fisica.

La normalizzazione della devianza è strutturale nelle organizzazioni e impedisce loro di riconoscere rischi e potenzialità ed in tal senso si collega la ricerca di Maurizio Catino del 2009 quando sintetizza il concetto come “miopia organizzativa”. La somma dei due apporti in dottrina, consente di definire il concetto di normalizzazione come un comportamento deviante sistematico e continuativo.
Allargando la visuale per renderla più aderente alle singole persone, si potrebbe individuare nella famiglia la mancata azione di controllo e sostegno dei genitori nei confronti dei figli. L’argomento è complesso perchè colpisce tutti noi nei ruoli d’educazione e sviluppo (spesso assente da parte dei genitori) e di normalizzazione del rischio perpetuato dai figli (abuso sostanza alcoliche e altro).

Concludendo questa ricerca, la normalizzazione del rischio si concretizza in 4 passaggi che sono:
– spostamento del confine tra lecito e abuso;
– notevole incremento della tolleranza all’abuso;
– in ambito aziendale la forzatura dei comportamenti fuori sicurezza per rispettare necessità di contenimento dei costi e di produttività;
– la continuità di questi comportamenti istituzionalizza un atteggiamento deviante come sopra già definito.

Non esiste una reale devianza se non in presenza di una continuità d’azioni e atti e annessa accettazione sia individuale sia collettiva come organizzativa.

L’insieme di queste riflessioni non è attualmente analizzato e neppure studiato in nessun corso sull’infortunistica attualmente svolto in Italia.

Un approfondimento di questi concetti, oggetto di successive riflessioni qui sviluppate, è condensato nel film “Sully” di cui se ne consiglia la visione.