E’ deceduta una giovane figliola in Italia per rifarsi il naso. Oltre all’analisi di capacità professionale di chi è intervenuto nel capire se sia veramente un medico, s’apre un diverso approfondimento tutto sociologico al momento completamente disatteso dai media e dalla riflessione comune; che ci faceva una ragazzina sotto i ferri per la punta del naso? Ricordo 40 anni fa mia moglie che voleva rifarsi il seno; pensieri di una vita trascorsa. Ovviamente le spiegai, ma eravamo molto giovani, che non ne aveva per nulla bisogno e m’impegnai nel dimostrarglielo. In effetti però questo paragone potrebbe non calzare alla perfezione, perchè chi non è in coppia e incolpa la punta del suo naso per essere sola, è predisposta ad agire.

Allora la considerazione si sposta dalla sin troppo giovane persona, impressionata dalla punta del suo naso, a chi le vive vicino; quindi i genitori. Possibile che nessun adulto è stato in grado di spiegare che la ragazza si stava perdendo in un bicchier d’acqua? Quello che si vuole qui sollevare è l’immane immaturità che soggiace nella chirurgia estetica quando non tesa a ripristinare una gradevolezza estetica successiva ad un incidente-incendio o quant’altro.

L’estetica per gioco, quella per cui ci si “rifà” qualcosa, sottende solitamente un vuoto esistenziale abissale. Si tratta di un’esistenza appiattita sull’estetica che fa grande uso della moda e dell’apparire. Come se il sembrare fosse istitutivo di un ruolo che oggettivamente è carente o del tutto assente. Sono parole dure come se fossero pietre, però quando una giovane vita è sprecata per la sola punta del naso, vanno scagliate contro chi avrebbe dovuto agire e non l’ha fatto.

Certamente la vittima, annegata nella sua visione distorta, era certamente maggiorenne, ma nella maggiore d’età di cosa? Se questi sono i risultati dell’essere maggiorenne meglio elevare il limite.

E’ deceduta una ragazzina e la colpa è nostra d’adulti che non siamo più capaci d’educare essendoci noi stessi persi per strada.

E’ stato perso il senso di responsabilità per noi stessi e chi ci vive vicino, quell’autocritica educativa che sola ci rende umani e non limitati consumatori.