Armando Editore censura ovvero pubblica quello che lui ritiene di diffondere indipendentemente che sia o no frutto d’analisi e ricerche. Del resto questa è una casa editoriale privata che fa emerge o cancella quello che non gli piace. Si tratta di una realtà con la quale fare i conti. Quando si compra un libro bisogna anche guardare chi lo pubblica come editore e capire qual’è la sua tendenza per riconoscersi o meno in quella linea editoriale.

Che peccato però che il “sapere” sia stato lottizzato, diviso, politicizzato e personalizzato in questo modo, ma forse non ci sono alternative. Anche l’Editore ha diritto al suo punto di vista aderendo o meno alle proposte editoriali.

AAA cercasi editori indipendenti preoccupati di pubblicare concetti fondati sulla ricerca e non loro punti di vista camuffati attraverso il nome degli autori!

Detto ciò, cosa ha censurato Armando Editore nel mio caso? E’ semplice, una critica alla globalizzazione che qui viene presentata senza se e ma.

Chi ha pensato alla globalizzazione non ha considerato gli effetti per l’Occidente di delocalizzazione-disoccupazione e precarietà lavorativa. Questo è un errore di una gravità tale, che dovrebbe comportare il ritiro del premio Nobel a uno dei maggiori fautori dell’evento globalizzato: Joseph Eugene Stiglitz (nato nel 1943, vivente, premio Nobel all’economia del 2001).

Stiglitz commise l’errore qui descritto perchè non volle considerare anche la sociologia nelle sue teorie limitate alla sola economia.

Nella fase globalizzata (oggi praticamente in corso d’estinzione) la precarietà lavorativa si è trasferita nei comportamenti delle persone, motivo per cui quando si lavora si cerca un partner “da viziare” corrispondente al livello di reddito di quel momento.

Quando il lavoro cessa, in assenza di reddito o a minore capacità, si cerca un altro partner adeguato ai nuovi standard.

Tale dinamica, per quanto deprecabile per la stabilità della coppia, potrebbe anche essere accettabile in assenza di figli, ma diventa “criminale” in presenza di prole.

Comunque sia, un livello di divorzi al 42% (dato ISTAT) in Italia e al 45% negli Usa, con un tasso d’abbandoni tra coppie non consolidate al 60% (dato stimato) produce classi, a scuola, con il 50% di figli reduci e feriti da un amore che ha tradito le attese (chissà da dove arriva il femminicidio!).

Spaccare la famiglia al 42% o il momentaneo accordo al 60% annulla il bisogno di famiglia che contraddistingue una società che voglia crescere lasciando tutto aleatorio, approssimato, immaturo.

Ecco descritto l’inizio della crisi della società occidentale contemporanea.

Buona lettura a chi vorrà approfondire oltre le capacità e visioni dell’Armando Editore che ha impedito la riedizione del testo in formato più snello.

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