The prisoners of Parkinson experiences. Nello studio della teoria sociologica al Parkinson emerge un aspetto “strano”: la non reazione alla malattia.

Si osserva la simbiosi malato-malattia; appunto una prigionia.

The Prisoner of Parkinson è una teoria sociologica famosa nel mondo, perchè ritiene la malattia una prigione. Gli studi condotti portano a ritenere il malato come una mente sana in un corpo malato. Una condizione di questo tipo non può che essere definita “prigionia”.  Il vero scopo e obiettivo della teoria è favorire “l’evasione” del prigioniero dalla sua trappola. Fin qui tutto bello. Passando all’atto pratico si nota un formidabile ostacolo.

Il vero ostacolo in una teoria innovativa sono i malati stessi! 

Oltre l’impegno nella ricerca e l’analisi dei diversi comportamenti, il problema all’applicazione degli studi sono i malati stessi. Molti dicono: “è troppo dura”. Altri si “vergognano del loro stato”. In pratica il malato desidera essere accolto e preso anzichè spiegare di cosa ha bisogno. Qui emerge l’immaturità di coppia. Non è finita. Spesso le associazioni del Parkinson non si concentrano sui concetti della Teoria. Al contrario puntano a demolire qualcosa che non è stato voluto da loro. Tale processo non passa attraverso il libero dibattito sui concetti, ma su qualcosa di più povero. L’attacco alla teoria The Prisoner of Parkinson passa per: questo chi, che cosa vuole, etc.

Non si è all’altezza di un’analisi che possa considerarsi utile all’utenza. Al contrario si cerca solo di distruggere. Il guaio è che vivere nel Parkinson è già una fine. Stiamo parlando di un decesso lungo 20-30 anni.

E’ come se sul Titanic, inequivocabilmente destinato a sprofondare nell’abisso, il naufrago non accetta la zattera.

E’ ovviamente un atteggiamento che segnala quanto la malattia di nervi sia progredita.

Il naufrago vuole solo un’altra nave disdegnando altri mezzi di soccorso.

Questo è un aspetto. C’è n’è anche un altro. La scienza, afferma che il Parkinson insorge con una certa presenza/assenza di ferro nel sangue o nel cervello. Sono termini nei quali come sociologo non entro, perchè non è il mio campo di ricerca. Nonostante ciò con la questione della presenza o meno del ferro nel sangue, si vuole contestare questa teoria. Si afferma che NON E’ CORRETTO CONSIDERARE L’ABUSO NEL NERVOSISMO COME UNA DELLA CAUSE ALLA MALATTIA. Questo perchè è stato chiarito quanto sia la presenza/assenza di ferro a giustificarne l’insorgenza. Qui serve un chiarimento.

Il sistema nervoso non è stato fatto per essere nervosi!

Al contrario i nervi servono come reazione chimica al movimento e gestione del corpo. Un braccio si alza e fa quanto richiesto, grazie al sistema nervoso.

L’uso frequente del “nervosismo” (come nella società globalizzata indotto) rappresenta un abuso!

Un sistema nervoso abusato reagisce e spesso si ammala. Questo meccanismo di causa-effetto, non è matematico ma frequente.

La questione della presenza del ferro nel cervello non tocca la correlazione tra nervoso e Parkinson appena indicata. 

Ecco il senso della teoria The prisoner of Parkinson.