Appunti sul taccuino americano, i rischi di una lezione non capita

In viaggio, per raggiungere l’America ho avuto il piacere e la fortuna d’aver trovato un buon compagno. Sbirciando i titoli di quanto lui leggeva e che io avevo con me, non è stato difficile “attaccar bottone”.
Il viaggio ideale (secondo me) è trovare una compagnia occasionale con la quale ragionare insieme, tanto che l’itinerario si annulli nel piacere dell’incontro. Mi rendo conto di chiedere “la luna” e che quanto apprezzo, in realtà, piace a tutti, ma nessuno è veramente disposto a ciò per paura di confidarsi eccessivamente e quindi di trascendere. A me il rischio piace, quindi amo mettermi in discussione nuovamente “con il primo che capita”, magari posso migliorami, ed è questo che spaventa maggiormente le persone: l’ipotesi d’arrivare a destinazione riconoscendosi diversi rispetto a quando si è saliti. Con questa predisposizione d’animo mi apro al dialogo e riporto fedelmente quanto scopro in questo taccuino americano.
Lui è uno psicologo statunitense molto impegnato nello studio delle devianze, che mi chiede un punto di vista europeo sull’attuale crisi americana, partendo però dal confronto con quella del 1929.
Rispondo che il paragone è interessante perché:
a) la crisi del 1929 è accaduta (non favorita come si potrebbe pensare) da una obsoleta prassi finanziaria in uso a quel tempo. In pratica, si ritenne che lo Stato non poteva agire, se non in un quadro di pareggio di bilancio. Questa mentalità escludeva nella forme più categoriche nuove ipotesi, che furono poi quelle del nuovo presidente americano, Roosevelt, applicando le tesi di Keynes;
b) non solo, ma i mesi e anni successivi al 1929 imposero una severa critica sull’intero sistema capitalistico e sociale del paese, contribuendo alla scrittura di un nuovo patto (New Deal) tra le istituzioni e la gente;
c) la presidenza Roosevelt rappresentò una totale rottura con il passato.
Nessuna di queste condizioni è stata invece applicata nel post 2008, nonostante la sua estrema gravità, da cui deriva il parallelismo con la prima grande crisi del 1929, infatti:
1) non è cambiata la tecnologia della finanza creativa all’origine della recente crisi. Se negli anni 2004-2008, il meccanismo si poteva individuare negli strumenti sub-prime (mercato immobiliare) oggi l’ipervalutazione speculativa si concentra sulle materie prime industriali e agro-alimentari;
2) non si è sviluppata alcuna seria autocritica sul pre 2008, tant’è vero che tutte le strutture speculative attive prima della crisi, sono oggi in attività utilizzando le stesse regole;
3) l’attuale presidenza Obama non ha saputo modificare le regole che hanno condotto al disastro, caratterizzando il suo mandato in una banale continuità con il passato. Da qui la sua non probabile rielezione il prossimo anno.
Detto questo chiedo al mio interlocutore cosa ne pensi della crisi dell’euro.

Mi risponde che era molto curioso di capire, come potesse reggere un sistema monetario privo di un’autorità centrale a livello politico. In pratica mi spiega che:
– “batter cassa” ovvero stampare moneta, è un atto di potenza di un Signore, quindi di una Autorità ben precisa, che si colloca dentro confini altrettanto certi. Nella UE abbiamo dei confini molto incerti e l’assenza di una reale guida politica che unifichi l’Impero (l’area comunitaria).
– La crisi greca, quella portoghese, ma di fatto anche spagnola, irlandese e oggi italiana, sono successive manifestazioni di protesta della periferia contro il centro, che di fatto domina l’Impero (come la UE viene definita dal mio interlocutore)
– La Germania con la sua formidabile crescita economica, ha risucchiato tutte le energie dalla periferia del continente legandole a un tasso di cambio fisso, (appunto la moneta unica) in modo che non infastidiscano, con le loro importazioni, la selettività nella crescita delle imprese tedesche, che hanno così scelto come e dove lanciarsi;
– Leggendo i fatti in questo modo, emerge come la Germania sia il motore di un’instabilità strutturale nell’area euro, i cui scricchiolii si stanno udendo senza bisogno di particolari e sofisticate chiavi di lettura.
Le restanti 14 ore le abbiamo passate parlando del più e del meno.

A questo spunto da taccuino americano, snocciolando punto per punto diversi aspetti strategici, non c’è una conclusione, in quanto è già tanto che vengano chiariti, nel loro impianto di base, come si evolvono alcune dinamiche già in corso. Non sempre lo scopo del ricercatore è trovare le soluzioni se non, prima di tutto, identificare l’architettura del problema sul quale agire. Qui oltre a sperare in una nuova classe dirigente negli USA fra un anno e alla fine degli attuali squilibri in Europa, dovuti a una moneta che unica non è, trattandosi solo di una germanizzazione della UE, che altro dire se non meditare?

Il taccuino americano diventa così un luogo dove ragionare e annotare eventi non comuni di riflessione.

Saguaro and Tucson 042

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