Le motivazioni alla crisi subprime, analizzate in vista dell’imminente crisi finanziaria e del fallimento della globalizzazione

In cosa consiste la crisi subprime
di Giovanni Carlini

Le premesse alla crisi

L’11 settembre 2001 con il riuscito attacco terroristico sul suolo americano e la clamorosa quanto spettacolare caduta delle due torri gemelle a New York, nelle sue conseguenze, ha minacciato di condurre l’economia degli Usa in una grave crisi. La Presidenza Bush, insediata alla Casa Bianca da solo qualche mese, attanagliata tra la conduzione sia strategica e finanziaria della guerra al terrorismo, sia nell’investire per rilanciare il Paese evitando una crisi, scelse una strada ben precisa: alzare il livello dei consumi.

Da premettere che l’opzione scelta (alzare i consumi) non è affatto di minor profilo rispetto le altre possibili, perchè giù sperimentata all’indomani del secondo conflitto mondiale, quando si dovette riconvertire la produzione da bellica a civile. Utilizzando quindi la storia come traccia, il Presidente Bush, consigliato da Phil Gramm, (anima economica del candidato repubblicano alla presidenza, il Senatore McCain) lanciò nel 2002 il piano per allargare il mercato dell’acquisto della prima casa, anche a chi aveva redditi bassi, quindi solitamente respinto dal sistema bancario. L’obiettivo era semplice: aumentare i consumi interni e sostenere così l’economia utilizzando gli effetti di un’industria volano (quella edile).

Questo provvedimento di natura macroeconomica si inserì e proseguì una tendenza già aperta dal Presidente Bill Clinton, quando nel 1999 firmò il Gramm-Leach-Billey Act, teso a deregolamentare il sistema bancario statunitense. In pratica si è voluto limitare l’azione di controllo delle autorità lasciando libere le banche e quelle d’investimento in particolare, di muoversi velocemente, aderendo al mercato globalizzato, sempre in forte accelerazione. Quest’ultimo atto fu poi confermato da un altro del 2000, in cui si sottraevano le contrattazioni sui derivati, al controllo delle Agenzie Federali. Il mercato dei derivati rappresenta ancor oggi  la velocità di reazione delle organizzazioni finanziarie ai fatti dell’economia. In pratica bisognava alzare la velocità di risposta delle banche agli eventi e ciò è stato fatto limitando ad aree più sensibili il controllo statale, confidando sulla responsabilità del sistema. Ecco quello che si può considerare, alla luce dei fatti, un errore, il primo grande sbaglio che oggi, nel 2016, ancora non è stato corretto dopo ben 2 presidenze del democratico obama.

In cosa consiste la crisi subprime

Si parla tanto di una crisi di cui se ne conosce ben poco il meccanismo, benché abbia delle dirette similitudini con la nostra vita quotidiana. Insomma la crisi finanziaria che si sta pesantemente affacciando a gennaio 2016, unita al fallimento della globalizzazione (sgonfiamento della Cina, del Brasile e in genere di tutti i paesi BRICS e alla “guerra del petrolio” sui prezzi, non è da considerarsi un “accidente” capitato tra capo e collo, ma ha una sua ragion d’essere in stili e metodi di vivere, che sono di noi tutti, in Occidente come altrove.
Passiamo alla descrizione di quanto è accaduto nel “lontano” 2006, reso palese nel 2007 e successivamente noto anche in Europa nel 2008, quindi sofferta apertamente fino al 2014: la crisi subprime.
Il signor John, cittadino statunitense, vuole comprare una casa, vive negli Stati Uniti, non ha il reddito per farlo, ma ugualmente è interessato a dare alla sua famiglia un tetto dove vivere e conta su un lavoro stabile. Il periodo storico di cui stiamo parlando è tra il 2002 e il 2008. Il John si reca presso la sua banca e chiede 100.000 dollari per l’acquisto della casa, che gli vengono concessi in base alle nuove regole che l’amministrazione Bush ha emanato. Il finanziamento è ovviamente tutto impegnato per l’immobile (condizione base per la concessione del prestito) e la banca iscrive nel passivo del suo bilancio, non il nome del cliente, ma l’immobile per il suo ammontare. Allo stesso tempo, la banca in questione, emette obbligazioni, sul mercato domestico e internazionale per gli stessi 100.000 dollari offerti al Signor John. Le obbligazioni così emesse nel mondo vengono comprate immediatamente e da tutti (in gergo tecnico si dice sottoscritte), grazie al nome e immagine di cui gode la banca. Con questo meccanismo l’istituto bancario ha “scaricato” sul mercato globale il suo rischio del prestito assunto con il Signor John e si dichiara pronta a elargire un altro. Contabilmente la partita per l’Istituto di credito è “patta” perché tanto eroga, altrettanto entra dalle obbligazioni, più le rate del mutuo in corso di estinzione. L’operazione è conveniente se riprodotta non solo sull’immobiliare, ma anche sul credito per l’acquisto di autovetture e dall’utilizzo delle carte di credito anche se la spinta principale è a favore del mercato immobiliare. Questo è il cuore pulsante del sistema subprime.
La rata del mutuo da pagare per John è direttamente comparata con il valore di mercato dell’immobile, per cui se questi vale 100.000 dollari, la rata mensile sarà, mettiamo 100 dollari per la durata del prestito. Nel caso il valore della casa dovesse salire come valore, poniamo a 120.000 dollari, il mutuo scenderà in forme equivalenti a 80 dollari e così via.

Se nei bilanci delle banche non entra il nome del soggetto che ha chiesto i fondi per comprare l’immobile, (il Signor John) ma il bene che ha acquistato, cioè la casa, ciò rappresenta una formidabile garanzia di solidità nel bilancio della banca a favore degli azionisti (una casa non scomparirà mai, mentre colui che ha ricevuto i fondi potrebbe morire o non pagare più) è chiaro che ogni variazione del valore del fabbricato aumenta o diminuisce influendo sul bilancio della banca che potrà anche concedere maggiori dividendi agli azionisti e stipendi più elevati ai dirigenti.

Come si sa gli immobili sono soggetti a continue quotazioni che ne monitorizzano il valore. (attenzione a questo particolare che allora non fu debitamente considerato! – secondo errore)

Nel caso l’importo della casa “x” che ha comprato Mister John dovesse salire, la banca riduce la rata di mutuo (lo abbiamo già detto), perchè il rientro complessivo del finanziamento e il suo rischio, disposto a suo tempo, è diminuito in quanto con ipotetici 100.000 dollari adesso non si ha più un immobile che vale 100.000, ma 150.000 e il patrimonio della banca sale del valore residuo tra il nuovo di 150 e il vecchio, più le rate già riscosse. Quindi “in una situazione felice” la banca procede ad abbassare il mutuo di quella percentuale che il valore dell’immobile ha ricevuto dal mercato. (In realtà la quota di riduzione è sempre leggermente meno, ma il concetto resta inalterato. Ciò che si contrae, non intacca la linea capitale del prestito originario, ma quella degli interessi, portandola quasi a zero, da cui il montante si riduce, tanto lo stesso importo originario è già rientrato nella banca grazie alle obbligazioni emesse. Fin qui francamente non c’è che dire, perchè si tratta di normale prassi bancaria.

Purtroppo, come sempre nella vita ma sconosciuto ai manager troppo giovani in posizione di vertice,  il perverso/lo sbagliato/l’errore arriva sempre! Il Congresso che ha fatto tanta fatica a varare il piano da 800 miliardi (700 effettivi + 100 per oneri vari mai chiariti) per fronteggiare la crisi aiutando le banche ad avviare il meccanismo prestiti immobiliari-obbligazioni subprime, ha permesso a milioni d’americani di comprare poniamo a 100mila dollari la loro prima casa dove abitare dignitosamente. Questo è accaduto tra il 2002 e il primo semestre 2007. Le famiglie americane si trovano l’immobile che hanno acquistato a 100mila dollari a una rivalutazione/nuova quotazione di 150mila dollari appena un certo numero di mesi dopo la firma del contratto di compravendita. In pratica le famiglie hanno in mano un bene che vale 50mila dollari in più! Anche se tutti i nuovi proprietari di casa hanno la rata del mutuo ridotta, comunque hanno lo stesso voluto vendere il fabbricato, magari alla banca stessa, monetizzando la differenza. (ecco il terzo errore che allora non fu capito)

A conti fatti senza far nulla, le famiglie si sono trovate in tasca almeno, nel nostro esempio, 50mila dollari con il mutuo estinto senza aver lavorato o rischiato più di tanto. A quel punto le stesse famiglie comprano un altro alloggio e così via.
E’ facile capire come queste tutti (provetti e nuovi speculatori edilizi) si sono fatti i soldi concretizzando mediamente 180-250 mila dollari/anno di guadagno appena il meccanismo fu chiaro (dal 2005 al primo semestre 2007)

Si apre su queste parole il versante morale della crisi. All’atto del salvataggio (dopo il 2007) una buona parte della società e della politica non si è voluto muovere in soccorso a chi ha di fatto speculato arricchendosi.
Non solo, ma l’invenzione di coprire con prestiti obbligazionari il contemporaneo finanziamento immobiliare, rispose al bisogno di una finanza creativa che poco ha prodotto, se non montagne di carta. Qui si apre un dibattito che ancora oggi, nel 2016 nessuno vuole affrontare, sull’aver permesso a giovani rampanti, senza esperienza, quindi poco più che trentenni, d’occupare posizioni leader nelle banche e nell’economia in genere, che richiedono esperienza e sagacia, ottenibile solo dopo anni e anni di esperienza. In pratica i cinquantenni non sono sostituibili dai ragazzini. Su tale versante della crisi c’è un ritorno, almeno negli Stati Uniti, al bisogno di formazione e carriera, con il desiderio d’affidarsi a manager governativi decisamente maturi negli anni e dotati di capacità critica.

A Parigi, ad esempio, nel dicembre 2015, uno dei terroristi successivamente braccati e uccisi e stata una donna, islamica, di soli 26 anni nel ruolo di “Direttore Generale” di una società di servizi parigina. Com’è possibile che una ragazza così giovane possa gestire con sagacia un incarico così complesso qual’è il Direttore Generale? La critica si estende a tutti gli attuali manager nelle ditte e imprese occidentali che hanno meno di 45 anni.
Tornando alla dinamica della crisi subprime, con l’inversione dei prezzi degli immobili (evento che non è possibile non ipotizzare calcolando il ritmo di costruzione frenetico di nuove abitazioni in tutto il paese), le banche americane hanno automaticamente alzato le rate mensili dei mutui, senza effettivamente considerare le condizioni di vita dei loro clienti. Così facendo il sistema creditizio ha di fatto strozzato i clienti, che hanno dovuto cedere l’immobile (a ottobre 2008 c’erano 3 milioni di case in queste condizioni). Le banche però non si sono rese conto che “uccidendo” i clienti, si sarebbero scavate la fossa nel senso che il fallimento di una parte, avrebbe solo anticipato quello dell’altra.
Recuperando gli immobili dai clienti morosi, le banche li hanno dovuti rivendere ad altri clienti o porli all’asta consentendone l’acquisto a prezzi irrisori. A fine settembre 2008, una signora americana comprò un immobile per 1 dollaro e 75 centesimi! Se i termini di raccordo sono 100.000 dollari contro 2 scarsi è palese che la ricchezza delle bancahe viene meno e si spiega pure come, in caso di fallimento dell’Istituto di credito, chi rilevi l’istituzione fallita, sottopaghi l’attivo della società che da 200 miliardi di dollari (caso Lehman Brothers) diventi si e no solo 85 (quanto la banca britannica Barclays ha pagato per rilevare quella d’investimenti statunitense a sua volta nazionalizzata dal governo britannico).
I titoli emessi a copertura del prestito immobiliare si chiamano subprime, perché fanno riferimento a due aspetti: alla catena di negozi che vendono panini (molto buoni e confezionati sotto gli occhi dei clienti) con il marchio SUBWAY e al nome “prime” che indica il meglio del meglio, della carne in vendita. I subprime sono quindi il miglior concentrato di carne mangiabile. Nello specifico rappresenterebbero il meglio delle obbligazioni possibili, perché tratte da più banche e tutte basate sul “solido mattone”. Quindi un’obbligazione subprime poggia su un pezzo di palazzo, un ponte, un supermercato, una scuola, una villetta e infine un condominio: tutte cose reali, concrete e valide, tranne quando diventano disabitate.
Il meccanismo qui descritto ha però un difetto; funziona solo finchè i costi delle case sono in crescita e ciò dimostra l’inesperienza di chi lo progettato e attuato il meccanismo.

Cosa emerge da questa analisi

a) Gli istituti di credito come del resto tutte le imprese nel mondo, hanno compresso i tempi di maturazione della carriera dei propri funzionari, lasciando salire in ordine e importanza ragazzini privi di esperienza e maturità;
b) La speculazione sulle case non è un “gioco” solo statunitense. In Italia coinvolge i box per le autovetture come gli appartamenti e l’inversione di tendenza del prezzo, indotta da eccessi di crescita è credibile negli Usa, come in Spagna, quindi in Irlanda e per forza di cose nel nostro paese.
c) Le banche farebbero bene a capire che si fallisce insieme con il cliente, questo vale soprattutto quando la crisi non coinvolge uno su tanti, ma tanti su tanti. Andrebbe meglio considerato il punto di pareggio nella gestione “politica” del cliente e non solo finanziaria, nell’interesse degli azionisti delle banche. Va precisato che le banche fallite non sono sole quelle d’investimento, che fanno notizia sulla stampa internazionale, ma in tutto il periodo della crisi subprime ne sono fallite 500!  In Italia, al momento, fine gennaio 2016 sono fallite e non per la crisi subprime, solo 4 banche attendendo gli esiti della Monte dei Paschi di Siena che potrebbe fallire anch’essa. Dubbi ci sono anche sulla Unicredit considerata già tecnicamente fallita.
d) Le banche come le assicurazioni sono imprese come tutte falliscono. Non solo, ma la banca e l’assicurazione “vendono” un prodotto in più rispetto il normale: c’è la credibilità di mezzo. Le banche offrono quella stabilità che non è affatto scontata in un sistema economico, ma va coltivata giorno per giorno. Qui si riprende, ampliandolo, il concetto che il fallimento di uno comporta anche la crisi per l’altro. Serve a questo punto un nuovo patto banca-assicurazione-cliente, che sappia chiarire e ridefinire gli ambiti d’intervento e di eventuale assistenza. In Italia non basta più una “Basilea 2” pensata solo a tutelare gli istituti di credito, ma si ambisce a una “Basilea 3” che pensi a entrambe le controparti in gioco: cliente e banca. Ne consola che in caso di fallimento bancario, dal 1° gennaio 2016 debbano essere coinvolti anche i risparmiatori con un saldo superiore ai 100mila euro. Si tratta di un aiuto alle banche che non meritano. Si svela anche come la riduzione della circolazione del contante in Italia non abbia nulla a che vedere con l’evasione fiscale ma è stato volutamente attuato solo per proteggere le banche i cui vertici non sono stati mai messi in discussione! Serve un importante ricambio di manager nel sistema bancario italiano.
e) La crisi Usa subprime ha rappresentato (ma è rimasto inascoltata) la messa in mora di un metodo che considera la finanza “mezzo e fine” per creare ricchezza, quando ciò non è vero. La finanza non crea nulla, re-distribuisce soltanto, togliendo a qualcuno e dando ad altri (questo nel breve periodo). Se questo concetto è confermato, non si può sempre essere dalla parte di coloro che ricevono! E’ pur vero che la finanza “dà interesse come montante nel lungo periodo”, ma quanto qui è messo in discussione non è l’investimento come concetto, ma la speculazione quale metodo e sistema. Il sistema subprime, sfuggito di mano nei progetti di chi lo pensò (l’amministrazione Bush) è rimasto nella storia come un mero sistema di speculazione finanziaria: fare soldi in fretta e subito. Tutto qui.
f) La crisi della finanza che ha colto gli Usa impreparati, ha poi colpito tutto il mondo con diverse intensità, perché se anche le banche europee non iscrivono in bilancio il valore dell’immobile, ma il nome di colui che ha ricevuto i fondi, resta la speculazione, ovvero il bisogno di lucrare subito e tutto, come elemento scatenante la crisi. In gioco qui non c’è l’immobiliare statunitense, ma un malessere comportamentale che ci vede tutti protagonisti in un modo o nell’altro. Basta giocherellare nella speculazione, servono nuovi standard di reale produttività di cose fatte o realizzate che l’amministrazione obama non ha voluto capire ma che la Spagna e l’Irlanda hanno pagato duramente lasciando l’Italia in posizione periferica (perchè poco integrata) ma esposta nel 2016 dove tutti i nodi sono finalmente venuti al pettine. Il calo di PIL del 10% dal 2009 al 2014 ha fatto lievitare le sofferenze bancarie al + 11% nel 2015, ovvero fino a 201 miliardi di euro. Il PIL italiano è calato perchè non ha saputo reagire alla crisi subprime nel mondo. Oggi l’Italia vende sui mercati esteri cibo anzichè tecnologia. Questo basso profilo apre a un altra considerazione: quale iter formativo serve a un imprenditore oggi di fatto semi-analfabeta? (vedi il libro L’impresa padronale – edito da Armando, Roma, nel 2015)
g) Va ricordato in concetto di fondo che la crisi subprime ha voluto oscurare: chi produce è l’industria, non il commercio, non la finanza, che rappresentano corollari all’azione di progettare, costruire e vendere. Chissà perché abbiamo così tanto delocalizzato!
h) L’intervento dello stato sia negli Usa come in Europa a salvataggio del sistema bancario va considerato valido a patto che i vertici degli istituti di credito siano rinnovati ma questo non è accaduto nel 2009 come in Italia nel 2015. Sotto quest’aspetto l’amministrazione Bush e quelle europee sbagliavano nella gestione del salvataggio dalla crisi subprime e ancora quella italiana nel periodo 2015-2016. La crisi del 29’fu “grande” perché il prestatore di ultima istanza, la FED, non introdusse liquidità sul mercato all’atto del crack, consentendo la trasmissione della crisi dalla borsa all’economia reale. Oggi, in Europa la BCE non consente ai singoli stati di poter introdurre moneta (liquidità) nelle quantità necessarie (vedi la grave crisi in Grecia in corso da molti anni) quindi, anche per questo la crisi subprime non è stata ancora capita.

Conclusioni

A quanto pare la lezione dalla crisi subprime non è stata capita sulle diverse sponde dell’Atlantico. Adesso però quante altre lezioni serve ricordare per evitare di trovarci tutti poveri come fu l’Argentina nel 2001, la Grecia del 2015, senza dimenticare l’Irlanda del 2008 e la disoccupazione spagnola al 26% come quella italiana giovanile al 42% con una media UE del 22%. Sicuramente chiudere le partite aperte della speculazione e tornare alla produzione intesa come quantità di beni realizzati da immettere sul mercato è un punto di partenza, ma questo richiede ammettere il fallimento della globalizzazione e l’applicazione di procedure di reshoring (rientro a casa d’imprese precedentemente demoralizzare nei paesi poveri emergenti, BRICS) già sviluppare con successo dal marzo 2012 negli Usa e successivamente in Gran Bretagna. La crisi subprime è ancora tra noi mentre stiamo per entrare, nel 2016, in una nuova crisi di sistema, ma questo è oggetto di studio per un prossimo articolo.