I disordini sociali in un paese islamico sono strutturali o un caso? La domanda sorge nel post primavera araba e studiando la Turchia. L’intero mondo dell’Islam è in fermento sociale. Si tratta di un caso o di un cambio epocale?

I disordini sociali in un paese islamico sono un caso? Per rispondere servono delle premesse. L’Occidente, dalle paci di Vestfalia del 1648, ha saputo dividere la gestione dello Stato dalla religione. Nell’Islam questo ancora non è avvenuto. Su questo aspetto c’è un importante precedente storico nella Turchia. Nonostante tale maturità istituzionale, i turchi hanno dimostrato tutti i loro limiti in questi mesi.

Finché non viene risolta la convivenza tra fede religiosa e gestione della cosa pubblica resta la tensione. Sorge però un quesito. Perché i disordini sociali in un paese islamico sono così recenti nella storia?

La novità consiste nella globalizzazione e l’uso di internet come relazione sociale. Una nuova forma espressiva che ha saputo scardinare gli assetti tradizionali. Questo stile ha imposto una triplice corrispondenza. Concetto di modernità, forma di governo e gli stili di vita. Ne consegue che l’Occidente paga la globalizzazione in termini di disoccupazione. Il mondo islamico paga in termini sociali cercando un nuovo equilibrio tra sacro e profano.

Questo nuovo equilibro tra sacro e profano sarà possibile nell’Islam? Senza ombra di dubbio si. Serviranno diverse generazioni. Il dislivello culturale tra Occidente e Islam è quantificabile in 500 anni. Ne consegue che dovremo abituarci ai colpi di stato e alle tensioni sociali in tutta l’area araba.

Chiarito il concetto di fondo, il punto è come le imprese dovrebbero interfacciarsi. Il suggerimento è per quegli accorgimenti tipici per le zone di guerra. Il problema è che le nostre imprese sono ancora una volta impreparate. Viene a mancare una disciplina e teorizzazione a monte, che spieghi il come e il perché. Questo riferito nel far affari in un’area di guerra. L’assenza di tali procedure è grave. Spiega come le nostre imprese non abbiano saputo beneficiare della presenza militare italiana all’estero.  Sud del Libano e in Afghanistan, come nella profonda regione balcanica.

Fornire le aziende italiane di un “pacchetto comportamentale in aree a forte contrasto”, dovrebbe essere lavoro per la Confindustria. Come noto questa struttura non sa fare formazione agli affiliati tranne convegni e cene. La formazione andrebbe realizzata di concerto con i Ministeri degli Esteri e della Difesa.

Si resta in attesa di un’evoluzione così concepita, a favore dell’industria italiana.