Aggiornamento al 31 agosto 2009

Rapporto Metalli al 31 agosto 2009
di Giovanni Carlini

Fonti:
– Quotazioni Ufficiali London Metal Exchange – indici LME, COMEX e NYMEX.,
– Quotidiano: Il Sole 24Ore e suo sito “Metalli 24 materie prime”
– Associazioni: Assofermet e Camera di Commercio di Milano

CONSIDERAZIONI A CARATTERE GENERALE E PROIEZIONI FUTURE

Un modo per battersi contro la crisi: acquisizioni & fusioni.
Sicuramente l’Italia, in ambito UE batte tutti gli altri nel numero d’imprese attive sul mercato nella fascia tra 1 e 9 dipendenti. Lo afferma uno studio CsC intitolato “Dinamiche competitive”, oggetto d’analisi in ambito Confidustria, dove si spinge per una maggiore efficienza di tutto il comparto industriale italiano. In pratica lo sforzo per una maggiore capacità di resistenza sul mercato e quindi d’efficienza complessiva, passa anche e soprattutto adesso, attraverso la ricerca di coordinamento e collaborazione, o eventualmente di acquisizione verso piccole aziende di nicchia, che possano allargare la gamma di produzione/vendita dei nostri operatori di mercato del settore dei metalli-semilavorati-acciai.

Uno dei casi concreti a cui fare riferimento lo ha offerto, in primavera, il gruppo Feralpi. Con un’integrazione da 15 milioni di euro, acquisendo la De.fi.m Spa di Lecco (produttore di reti termosaldate per utilizzi industriali e civili) il gruppo siderurgico bresciano, per la prima volta nella storia italiana del settore, è riuscito a riunire sotto un unico nome l’intera filiera dal rottame al prodotto finito. La notizia non si ferma qui. La De.fi.m, che nasce negli anni Trenta per produrre filo spinato, dopo aver raggiunto un apice negli anni Novanta con 2 stabilimenti, 200 dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato, nel giugno 2008 non regge più la concorrenza straniera, entrando in concordato preventivo. La lezione è semplice. Se si resta piccoli non si hanno sbocchi in un mercato integrato. Quando fu lanciata la moneta unica europea e integrati maggiormente i flussi commerciali comunitari, nessuno disse che per restare sul mercato la dimensione nazionale non sarebbe più bastata. Ora lo si scopre giorno per giorno (anzi il processo di compattamento è in fase più che avanzata e vede il nostro paese veramente debole) Concludendo, serve una politica d’integrazione verticale per sopravvivere.
Un modo per battersi contro la crisi: agire su nuovi mercati
La globalizzazione non va subita, ma governata. Al di là che questa forma di relazione commerciale esce, dalla crisi 2008-2009, fortemente rivista e corretta da degli eccessi non più tollerabili, ciò comporta che nelle imprese occidentali ora ci sia più NAFTA, più UE, più India e meno Est Europa e Cina. Nel quadro di una revisione dei confini d’azione commerciale oltre al Giappone, già ricordato in un precedente Rapporto Semilavorati di LAMIERA, ora va ricordata l’area Australiana e Neozelandese. Per far riferimento a un contesto molto ricco di giacimenti di materie prime, che finora è rimasto appannaggio della sola Cina, serve introdursi in quelle missioni governative italiane, che trainando fino a 50 diverse imprese di più settori, “bussano alla porta” dei paesi per cercare contatti d’affari. L’obiettivo del governo italiano, nel caso dell’Oceania, è stato quello di produrre sinergie tra imprese di continenti diversi, in un’area che nel 2015 dovrebbe rappresentare (va però valutato al termine della crisi) il 45% del PIL mondiale. Non solo, ma la Nuova Zelanda è al momento (dovrebbe essere seguita presto dall’Australia) è l’unico paese occidentale che vanta verso Pechino, la clausola di “libero scambio”. Detto in termini pratici, chi produce in questo paese o fa transitare le sue merci per naturalizzarle neozelandesi, ha automaticamente accesso al mercato cinese, oltre ogni forma di dogana e dazio.
Ecco qui presentato un esempio pratico d’internazionalizzazione della PMI per allargarsi sul mercato, oltre quello nazionale o della UE, ormai praticamente abituali per le nostre imprese. Su questo esempio sono molte, ormai, le missioni all’estero che le diverse Associazioni di categoria e la stessa Confidustria, di concerto con il Governo, hanno posto in essere.
Un modo per battersi contro la crisi: recuperare competitività con i tempi di consegna (concetti di comakership)
L’esempio nasce da una attenta ri-lettura dell’esperienza di “Laminazione Sottile”, una delle più importanti realtà europee del comparto dell’alluminio laminato, già abbondantemente pubblicata in primavera sulla stampa economica nazionale. La strategia “anti crisi” della società, ruota almeno intorno a due assi: stringere nuove partnership, soprattutto all’estero e nella contrazione dei tempi di consegna del prodotto applicando concetti di comakership.
L’obiettivo di questa procedura (diventato importante soprattutto nel corrente 2009) deriva da un’urgente richiesta di mercato per tempi di consegna rapidissimi. Abbandonati i progetti a lungo termine, la “navigazione si fa a vista”. In pratica, per la “Laminazione Sottile” questo vuol dire scendere dalle 6 settimane usali del 2008 alle 3 di quest’anno. Però ha anche rappresentato 1 milione d’investimento, nel nuovo software di gestione della produzione!
Ultimamente tutti hanno osservato come le esigenze delle aziende come siano cambiate. In sostituzione di una spasmodica ricerca del miglior prezzo, improntata su rapporti commerciali basati sulla forza contrattuale, nonché al mantenimento di un numero più elevato possibile di fornitori alternativi, al fine d’alimentare la concorrenza, si sostituisce adesso lo sviluppo di catene fornitori-cliente, improntate a rapporti di comakership, con un numero limitato di fornitori affidabili sulle forniture strategiche e lo sviluppo di un rapporto di outsourcing con un unico provider per i restanti approvvigionamenti.
Alla tendenza nello sfruttare al massimo i fornitori e non accettare legami di lungo termine con loro effettuando acquisti per ordini singoli, ponendoli sempre in concorrenza in ogni ordine, si sostituisce lo sviluppo di un network informativo comune con ordini aperti (contratti quadro o di fornitura), nell’ambito di rapporti di lungo termine di comakership e outsourcing orientati all’ottenimento d’economie di lungo periodo.
In linea con questo approccio strategico, anche il ruolo dell’approvvigionatore muta radicalmente.
I compiti principali di questa funzione non consistono più nel cercare d’ottenere il prezzo più basso a ogni ordine, attivando la concorrenza tra fornitori al fine d’ottimizzare il budget annuale, ma più coerentemente con le nuove filosofie gestionali, coordinare e far crescere i fornitori, integrandoli nel sistema aziendale e ottimizzare gli acquisti a costi totali sul lungo termine.
La mansione di “acquisitore” tende a divenire molto meno caratterizzata e specialistica di quanto non sia attualmente. Il ruolo sarà, infatti, molto più globale e sfumato, spaziando dalla qualità, alla tecnologia, alla gestione. Tendenzialmente è una funzione destinata a essere coperta da quadri d’azienda, che si rapportano direttamente con i loro fornitori (come all’interno dell’azienda, dove non occorrono acquisitori per gestire i rapporti tra i reparti).
La tendenza a ridurre il numero dei fornitori, costituisce un’evoluzione che può essere interpretata secondo diverse chiavi di lettura.
La prima di esse, che ricalca il modello delineato, consiste nella necessità d’intrattenere rapporti commerciali con un minor numero d’interlocutori, al fine di stabilire con essi relazioni commerciali più strette e ridurre, al contempo, i costi di transazione.
La seconda, causata dal diffondersi della comakership, origina dall’impossibilità di far coesistere una tale filosofia con la presenza di numerosi fornitori alternativi, quando questi sono necessari. Nasce allora lo spirito dell’outsourcing degli approvvigionamenti, che si pone nei confronti della comakershi in una posizione di perfetta complementarità. Infatti l’outsourcing si basa su una nitida distinzione tra fornitori strategici e non strategici. I rapporti con i primi dovranno necessariamente essere mantenuti dal cliente in prima persona, mentre con i secondi, potranno essere completamente delegati a un unico provider, ottenendo in tal modo il risultato di poter interloquire con un unico ulteriore “fornitore primario”.
Si riduce così drasticamente il numero dei fornitori, ma ovviamente non si ridurrà nè il loro numero complessivo, nè il quantitativo di beni trattati, perchè saranno cercati e gestiti dal provide, permettendo all’azienda di relazionarsi con un unico soggetto, che porterà a una riduzione sostanziale delle informazioni da gestire.
Un modo per battersi contro la crisi: evitare si essere solo export oriented
Uno dei motivi per cui questa rubrica è così scettica verso la Cina e la sua presunta influenza di lungo periodo, deriva dall’analisi storica dell’economia recente. Chi si ricorda cosa rappresentò il Giappone negli anni Settanta-Ottanta? Ebbene fu uno scandalo e una vera e propria minaccia dall’Asia verso l’Occidente, ma commise degli errori che stanno ora ricalcando le dirigenze di partito cinesi ignare della storia. Non solo, ma almeno la grande nazione nipponica era ed è una democrazia, cosa che la Cina non era e non è affatto intenzionata a diventare, compromettendo la chiarezza e l’applicazione dei più normali protocolli comm.li. Si spera che chi opera con la Cina oggi, non ne abbia bisogno in termini di applicazioni di giustizia perché non l’otterrebbe, mentre la chiarezza delle regole è la base per fare affari.
Rammentato l’attuale contesto politico e giuridico cinese, il grande errore dei giapponesi fu costruire un boom economico sulla sistematica soppressione dei consumi interni, per canalizzare tutto verso il risparmio e quindi finanziare gli investimenti. Questa manovra, nelle intenzioni, era tesa al raggiungimento della supremazia tecnologica, il cui “termometro” era rappresentato dal volume di export. Oggi il Giappone tenta disperatamente di uscire da 10 anni di stagnazione rilanciando in grande stile i consumi interni con una successione di manovre, che nel 2009 hanno già impegnato oltre il 3% del PIL (quella italiana è misurata in uno 0,5%)
Studiare i diversi passaggi della crisi nipponica così motivati, ricordando anche la larghezza e ampiezza di liquidità con cui il Giappone allora “si comprò” interi mercati nei termini di influenza e i grandi investimenti fatti in titoli del tesoro USA, non può che far pensare alla Cina di oggi.
Completamente diverso, addirittura rovesciato e positivo è il quadro di riferimento sull’India rispetto la Cina; gli economisti indiani hanno studiato la storia.
Che andamento avranno i prezzi?
Nel momento in cui queste note si concludono (31 agosto) il problema è capire se a settembre i prezzi terranno o meno in riferimento agli eccessi d’agosto, ma per quando il rapporto sarà leggibile, ovvero 60 gg dopo la sua scrittura, la prospettiva non cambia più di tanto e la domanda di fondo resterà quella di sapere se, in finale d’anno, i corsi delle materie prime terranno o meno le quotazioni acquisite. Se ci si fa caso, nello spazio di 2 mesi (ma in realtà la tendenza è più ampia) i grandi temi non cambiano e questo dimostra quanto sia importante tornare a individuare la linea di tendenza sul medio-lungo periodo. Ebbene, per evitare di perdersi su fatti contingenti, va ricordato che servono anni e non semestri, affinchè si possa tornare su un livello comparabile al biennio 2007-2008. Questa valutazione, oltre ad essere espressa dal FMI e mormorata a “mezza bocca” dagli altri centri di ricerca e analisi sull’economia mondiale, si basa anche su un dato di fatto: il rinnovato ruolo dello stato nella gestione della crisi per i futuri equilibri mondiali.
Il ritrovato ruolo dello Stato Nazione nella gestione dell’economia
Ho 50anni e sono cresciuto con alcuni punti di riferimento tra cui il concetto di Nazione e Stato. Dalla caduta del muro di Berlino, tutto è cambiato (sembrava così) e siamo stati progressivamente costretti a seguire un mondo “tutto tondo” che cercava nuovi valori, la cui natura e radice non ci è stata spiegata, ma bisognava accettarli pena essere emarginati quali retrogradi e non più adeguati. In questi nuovi valori la finanza aziendale (spesso creativa) ha rappresentato il nuovo credo, in luogo soprattutto della produzione.
I confini sono stati rimossi, le regole modificate, i valori rivisti (dal Regno del Male come definì l’Unione Sovietica, il Presidente Reagan negli anni Ottanta, si è passati, dai Novanta in poi a fare affari, in forma spregiudicata, con la dittatura cinese con l’amministrazione Clinton) e tutto ciò per permettere a un’intera generazione di giocare d’azzardo su tutte le piazze finanziare del mondo. Pensionati che hanno investito tutto e il contrario di tutto per guadagnarsi il conto del ristorante mettendo a rischio la liquidazione, imprese e non ultime del settore metalli & siderurgia che hanno chiuso o rischiato di farlo per aver voluto speculare, senza indugio, chi sul rame o qualche prodotto che appariva in quel momento una promessa.
Perché tutto questo potesse “funzionare”, non poteva esserci lo stato ovvero l’interesse collettivo, ma solo quello individuale che dura finchè le cose vanno bene.
Questo concetto qui negli USA è oramai chiarissimo, nazione dalla quale questo rapporto semilavorati prende spunto, per consegnare ai lettori dei punti di vista originali e prelevati direttamente da dove accadono. Passando dal generale al particolare cosa comporta ciò per il mondo delle imprese? Una rivoluzione!
Negli anni Settanta, in azienda, esistevano delle figure particolari (a volte consulenti) in grado di parlare con la PA (pubblica amministrazione) che sono venute meno negli ultimi vent’anni. Oggi serve recuperare questa capacità di sapersi muovere agevolmente tra capitolati, gare, enti locali, ministeri e comunque l’apparato.
La burocrazia statale parla un suo linguaggio, ha tempi e metodi che seguono un calendario le cui tappe vengono impresse dal Parlamento e dall’Esecutivo, che si esprime con proiezioni, lunghezze di tempo e orizzonti non sempre comprensibili, spesso in ostaggio di un collegio elettorale anziché un altro.
Lavorare con lo Stato (tornare a farlo) significa quindi affiancare in azienda, oltre alle normali procedure di libero mercato, anche delle politiche che non sono affatto confrontabili a quanto fu tangentopoli, ma che al contrario conoscano almeno la legge di contabilità generale dello stato, il diritto privato, commerciale, fallimentare e pubblico.
Qui negli USA, considerato che le commesse pubbliche rappresenteranno una buona parte del fatturato, almeno nei prossimi 3 anni (tale è la previsione prima di ritornare a qualcosa di paragonabile al 2007-2008) la caccia a ex funzionari amm,vi statali da reclutare e affiancare agli attuali direttori commerciali è già iniziata. Dal mese di aprile, particolarmente ricercati sono gli ufficiali delle diverse forze armate (nello specifico dell’Esercito) perché molto pratici nelle formule d’approvvigionamento applicate in una gamma eccezionalmente vasta: dalla carta igienica, ai viveri, per concludere con le pale degli elicotteri e la corazzatura suppletiva di un blindato.
Negli ultimi mesi ne sono stati assunti 372 che si sono appositamente congedati dalla Forza Armata.
Questo tipo di personale, indicativamente collocato intorno ai cinquant’anni, oltre a godere di una gran massa di contatti e conoscenze personali è stato anche addestrato e ha vissuto per quasi 30 anni, in un ambiente fatto di regole molto rigide, la cui applicazione prescinde dalla sola conoscenza, ma rientra invece molto nella pratica. Ecco l’effetto più immediato della riassunzione di responsabilità della Stato Nazione nel ciclo economico, per effetto della “nuova grande crisi” in pieno sviluppo. In Italia, un’attenzione di questo tipo ci fu solo negli anni Settanta, quando si cercarono degli ex ufficiali dei carabinieri nel ruolo di Direttore del Personale, ma una cultura di relazione con lo Stato, l’ASL, gli Enti Locali e i Ministeri, compresa la Protezione Civile, non c’è mai stata. Va anche riconosciuto che è la stessa PA ad essere carente di cultura amm.va propria, l’Alta scuola di Pubblica Amministrazione di Caserta è un limbo per pochi eccelsi, che non sanno diffondere a loro volta “il verbo” a tutta la struttura. La stessa dinamica si ha dalla Scuola di Guerra delle tre Forze Armate e così via. C’è quindi uno Stato, che abbiamo scoperto indispensabile per rimettere ordine nella vita sociale e economica nazionale, ma che non sa parlare e ciò che dice “è legge”. Un interlocutore di questo tipo va “aiutato” conoscendo le sue stesse regole, per consentire al sistema produttivo di restare sul mercato.

LINEE DI TENDENZA – L’ANALISI DEGLI ULTIMI 6 ANNI CON I GRAFICI DEL LME

Andamento complessivo del mercato di Londra
L’exploit dei prezzi al LME di agosto, unitamente alla schizofrenia dei dati provenienti dalla Cina e il ricorso a spunti rialzisti contingenti quale gli scioperi e rischi da inquinamento, confermano sia il bisogno di far crescere artificialmente le quotazioni che, al contempo, quanto sia pericoloso il momento storico che stiamo vivendo sul piano dell’economia e dei prezzi delle materie prime.
Come sempre accade, quando i corsi delle materie crescono troppo rapidamente (soprattutto in assenza di reali motivazioni macroeconomiche) c’è da attendersi una correzione altrettanto dura e repentina. Questo lo insegnano sia la storia dell’economia che i recenti rovesci di finanza aziendale. Il LME a livello di quotazioni è cresciuto complessivamente nel 2009 (in particolare modo da aprile) del 70% di cui il 20% negli ultimi giorni, il che indica quanto la voglia di riscatto della speculazione sia ancora “feroce” e tutta protesa a rifarsi dalle perdite. Purtroppo non è così facile come sembra.
Infatti è sempre più urgente il bisogno di una nuova classe d’imprenditori e manager, che cessi di misurarsi sul solo budget, per fare bella figura con gli azionisti. Al contrario, le nuove qualità manageriali sono per chi sa guardare oltre un pugno di mesi, collocando l’azienda sul lungo periodo. Tornando più specificatamente all’andamento del mercato di Londra, il mese d’agosto rappresenta il vertice di un lungo movimento rialzista, sul cui futuro nessuno è disposto a scommetterci, il che indica ai nostri lettori di non comprare, se non sul venduto.
Del resto come si può essere euforici quando i prezzi della produzione sono calati del 7,5% in un anno (dati di agosto). In termini congiunturali, rispetto a giugno, il calo dell’indice (base 2005=100) si è fermato a -0,4% Si tratta del più ampio calo dal gennaio 1992 e dal gennaio 2006, ovvero da quando sono in uso indici confrontabili. Nel dettaglio il calo della produzione mondiale in luglio su giugno, si esplica in un -0,1 nei beni strumentali, -2,4 nell’energia. Il ridimensionamento rispetto a luglio 2008 è di -0,9 per i beni di consumo e -0,1 di quelli strumentali, quindi del -7,4 sugli intermedi e infine a -24,3 per il comparto energia.
Un’ultima osservazione prima di passare a un’analisi per singolo metallo. Le cause contingenti come scioperi (in Canada e in Cile) incidenti nelle centrali idroelettriche (Siberia: Sayano-Shushenskaya), inquinamenti ambientali (in Cina nella regione dell’Henan) non sono motivi di fondo per forzare un prezzo e non si possono immagazzinare materie prime sotto l’effetto di questi avvenimenti, che restano mera cronaca. Una campagna di ripristino magazzino, deve sempre puntare al costo di periodo, evitando quelle oscillazioni nei corsi che comprometterebbero poi un buon prezzo di vendita alla clientela, la quale rigetta quanto non è più attuale nei mesi successivi, specie se tradotto in costi troppo alti.

COMMENTO ALL’ANDAMENTO DEI PRINCIPALI METALLI

ALLUMINIO
L’alluminio presenta delle quotazioni in rialzo senza che ce ne siano reali motivazioni, (come per tutti gli altri metalli) infatti, considerando solo la quantità delle scorte da record, con 4,6 milioni di tonnellate stoccate al LME, vengono meno le motivazioni di fondo per una tendenza rialzista. Dopo un taglio alla produzione di 500mila tonnellate operato dal più grande produttore d’alluminio al mondo, la russa Rusal, e il rischio di un’ulteriore contrazione di altre 500mila per guasti alle centrali elettriche siberiane, la cronica eccedenza d’offerta su questo metallo non è destinata a modificarsi.
Non cambia il quadro d’insieme considerando il 2° gruppo minerario mondiale, la Rio Tinto che accusa un calo dell’utile netto del 64% nel primo semestre 2009, soprattutto per effetto della gestione della sua divisione alluminio (la costosa acquisizione della Alcan, 2 anni fa)
La produzione mondiale d’alluminio primario (senza i dati cinesi) è salita in luglio a 1,956 contro gli 1,899 di giugno (a luglio 2008 era 2,171)
Sul piano più complessivo L’International Aluminium Institute indica, sul piano dell’output giornaliero la Cina in aumento, da 1,02 di giugno a 1,08 di luglio. Questo significa che i prezzi crescono nella regione asiatica e forse aumenteranno in Occidente nel prossimo 2010.
Il quadro potrebbe cambiare in presenza di un recupero dell’economia mondiale, ma questo aspetto è decisamente rinviato al 2010 se non all’anno ancora successivo.
Oltre la quotazione contingente, un prezzo medio/accettabile per ripristinare il magazzino è quanto emerge dalle medie storiche evidenziate in tabella 1, dove l’incremento di prezzo in 6 anni è del 32% il che consente di considerare l’alluminio un metallo sicuro per la stabilità della finanza aziendale.

RAME
Si può definire la tendenza del prezzo futura del rame come “rialzista” con frequenti cadute. Questa è la sintesi della stampa internazionale su questa materia prima. Le quotazioni che al 10 luglio erano a 4.858$/t (base tre mesi) sono salite del 30% avendo toccato per ben 2 volte i 6.450. L’allarme degli analisti del Mf Global Metals è per tutto il comparto, non solo per il rame, perché vedono ogni materia prima troppo sopravalutata. Anche Barclays Capital e Gfms di Londra, condividono l’allarme, quest’ultimo stima per la fine dell’anno il rame sui 5.000 $/t. Al contrario al LME, per difendere con interesse ogni ipotesi rialzista, vengono sottolineati gli scioperi in Cile, in proiezione di fine anno, quale causa di sostegno all’attuale tendenza.
A non confermare la tesi rialzista sul lungo periodo delle quotazioni del rame ci sono le scorte che sono salite del 14% nella stessa Londra e del 20% a Shanghai, non solo, ma dallo stesso Cile c’è una non conferma sulle ipotesi di scioperi da parte degli stessi sindacati. A tutto ciò segue l’annuncio d’aumenti della produzione da parte della Codelco con un +15% nel primo semestre. Per chi si fida delle previsioni della Goldman Sachs alla luce dei dati appena elencati, i loro analisti hanno notevolmente alzato il prezzo base del rame nei prossimi 2 anni. Nonostante quest’ultima indicazione, alla luce degli atti appena presentati, un prezzo medio/accettabile, per ripristinare il magazzino, deve considerare un’oscillazione troppo ampia negli ultimi 6 anni e pari al 247%. In un rapido confronto se lo sviluppo di prezzo dell’alluminio è accettabile quello del rame è eccessivo. Ogni operatore, in questo “range” tra un minimo (l’alluminio) e un massimo (il rame) valuti il “giusto prezzo”, per non compromettere i suoi equilibri aziendali.

PIOMBO
Il piombo è vittima di un’ennesima strumentalizzazione di fatti locali e momentanei per spuntare prezzi più alti. La logica è semplice: finchè dura.. Ovviamente, ponendosi dalla parte degli operatori del mercato, quelli che vogliono restarci, non si può comprare materia prima in queste condizioni se non per urgenti ripiani del magazzino o comprando sul venduto.
La scusa per sostenere una campagna di rialzo sul piombo, proviene dal sospetto di inquinamento ambientale in Cina, che ha provocato una severa protesta e rivolta da parte delle popolazioni locali, determinando la chiusura momentanea di diversi stabilimenti di produzione. Ciò ha dato l’estro al Partito di razionalizzare l’estrazione e lavorazione del piombo, concentrando sotto grandi nomi e imprese di proprietà statale, i molti nomi d’imprese locali più piccole. Se questo processo è orientato nell’alzare la qualità della produzione sicuramente è un vantaggio, ma fa tornare la Cina alla produzione di stato, quella stessa che affossò l’economia dell’allora Unione Sovietica. In pratica per andare avanti, la Cina sta tornando pesantemente indietro, ripercorrendo gli stessi errori già commessi nel passato sia dalla Russia che dal Giappone (only export oriented). Con queste argomentazioni e contrariamente a quanto indica il settimanale “The Economist”, che deve difendere chi troppo ha investito in Cina, non si dà credito alle strabilianti performance cinesi, sui ritmi di produzione nell’estate 2009. Nel senso che non si discutono i numeri, ma la qualità su cui poggia l’intera economia cinese. Questa precisazione è importante per capire se comprare o no il piombo in questo momento. Si può acquistare un metallo la cui valutazione corrente sul mercato dipende dalle rivolte popolari cinesi provocate da inquinamento?
Attualmente le scorte di piombo sono a quota 300mila ovvero il doppio del solito al LME. Se anche il piano di stimolo governativo cinese prevede più auto e biciclette elettriche, a forte consumo di batterie tradizionali, c’è da notare come in Occidente la Nissan, stia lanciando la nuova batteria Leaf. Questa, prodotta in Gran Bretagna per autovetture elettriche, necessita di 4 kg di litio, quantità non sufficiente, ancora, a modificare il costo sul mercato.
Un prezzo medio/accettabile, per ripristinare il magazzino, è quanto emerge dalle medie storiche qui evidenziate per cui come già indicato per il rame, un apprezzamento del 259% non è realistico. Ogni operatore ricerchi il giusto prezzo, tra un credibile minimo e massimo su cui operare.

NICHEL
I corsi del Nichel sono attualmente sostenuti da ipotesi di scioperi in Canada ai danni della Vale, dall’esaurimento delle scorte dovuto principalmente a un picco di import cinese che solo a giugno ha segnato un +63,5% rispetto a maggio e dalle precisazioni del cfo, sempre della Vale canadese, che confermano quanto il 70% di nuova domanda di nichel provenga da economie occidentali.
Un prezzo medio/accettabile, per ripristinare il magazzino, è quanto emerge dalle medie storiche qui evidenziate dove s’osserva un 107% d’apprezzamento del prezzo in 6 anni. Un valore di questo tipo è al limite dell’accettabile, per cui s’invitano gli operatori a stare attenti nelle loro scelte.

STAGNO
Anche su questo metallo ci sono delle cause estranee e collaterali a determinarne, per il momento, il suo corso. Il primo esportatore al mondo di stagno è l’Indonesia, con una produzione stimata per il 2009 di 90mila t rispetto alle 71.610 del 2008 (dati dell’International Tin Reaserch Institute). L’integrale ristrutturazione del settore in questo paese è fonte di turbativa dei prezzi del metallo. In pratica il governo vuole regolarizzare l’intera filiera dello stagno, legalizzandone i diversi passaggi oggi non soggetti alle tasse governative, ma anche agli standard umani minimi richiesti dal mercato internazionale. In ciò rientra la lotta alla schiavitù, il lavoro minorile, i turni di lavoro etc.
Sfruttando questa razionalizzazione del mercato interno indonesiano, al LME il prezzo dello stagno si è portato a 14.250 $/t ovvero il 37,6% rispetto la fine del 2008, ma lontano dal suo massimo del 10 giugno di 15.850. Può un mercato reggersi su “fatterelli” di questa portata, per costruire ricchezze? Ecco dove la speculazione arriva al suo confine, oltre il quale c’è solo azzardo. Può andare bene, ma spesso va male e gli assetti finanziari di un’impresa sono un aspetto troppo serio perché possa essere messo a repentaglio per inseguire fatti che si modificano giorno per giorno, perché connessi all’umore degli uomini.
Un prezzo medio/accettabile, per ripristinare il magazzino, è quanto emerge dalle medie storiche qui evidenziate su cui l’apprezzamento in 6 anni è del 200% quindi un valore eccessivo.

ZINCO
Il mercato dello zinco indica un surplus d’offerta sempre più ampio. Nel primo semestre 2009 l’International Lead and Zinc Strudy Group (Ilzig) quantifica il fenomeno in 237 milioni di t contro le 121 che già furono nel 2008. In questi giorni la domanda cala ancor più dell’offerta.
Di conseguenza le quotazioni dello zinco sono frenate da una eccedenza strutturale. Tutto ciò al netto del risveglio di domanda in Cina, focalizzato sull’acciaio galvanizzato e per le connesse applicazioni nell’industria degli autoveicoli e delle costruzioni.
Va segnalata la riapertura di miniere che furono temporaneamente chiuse in aprile e la fine del de-stoccaggio, in tutto il mondo dell’acciaio galvanizzato.
Nel complesso la quotazione dello zinco è da considerarsi, al di là delle fiammate contingenti, come un metallo su cui fare affidamento per la gestione di magazzino, perché se anche in questi giorni indica un apprezzamento del 132% il che è assurdo, lo sgonfiamento che ne deriverà nelle prossime settimane, lo riporterà sotto il 100% riportandolo in un’area di prezzo accettabile.