Rapporto metalli, aggiornamento al 29 gennaio 2009

Fonti:
– Quotazioni Ufficiali London Metal Exchange – indici LME, COMEX e NYMEX.,
– Quotidiano: Il Sole 24Ore e suo sito “Metalli 24 materie prime”
– Associazioni: Assofermet e Camera di Commercio di Milano
– Siti Web dedicati: SteelOrbis, DJ Acciaio.

CONSIDERAZIONI A CARATTERE GENERALE E PROIEZIONI FUTURE
Prezzi in aumento e scorte in esaurimento
La tendenza all’aumento dei prezzi da parte dei produttori è quanto sta accadendo in questi giorni. Ciò deriva dalla constatazione della diminuzione dei livelli di magazzino nei centri servizi e ipotizzando un ritorno “agli acquisti” verso l’imminente primavera. Lo tendenza viene supportata dai produttori statunitensi di laminati piatti. Su tale sfondo, il mercato dei coil zincati a caldo sembra pronto per l’ipotesi di ripresa sulla primavera, pur considerando che questa resta solo un’idea. Infatti a gennaio non è stata registrata alcuna un’attività di acquisto che si possa definire vivace, nonostante la già citata contrazione delle scorte e il comportamento della maggior parte dei clienti, che sta acquistando e consumando materiale sulle esigenze più immediate. Non c’è ancora sufficiente fiducia affinché gli acquirenti si sentano tranquilli nel tenere più alti i livelli di scorte. Vanno anche considerati i tagli massicci alla produzione e la generalizzata carenza di domanda, il che rende inverosimile che le aziende produttrici possano applicare rialzi prima della stagione primaverile. La domanda mondiale per zincati a caldo e altri prodotti piani rimane depressa È probabile che eventuali aumenti dei prezzi, nei prossimi mesi, saranno destinati ad avere vita breve, almeno finché la domanda non segnerà un recupero significativo.
Sul piano più complessivo, i commercianti di tutto il mondo affermano che le aziende cinesi stanno cercando di alzare i loro prezzi, senza tuttavia ricevere alcun ordine, anche se va considerato come questa industria sia, a fine gennaio,“chiusa per ferie” per l’avvento del Nuovo Anno. Comunque per un reale rialzo dei prezzi va preso in considerazione il rischio di uscire dal mercato essendo “troppo cari”. Della serie “buone notizie” è stato registrato un intensificarsi dell’attività dal Sud America, grazie a Brasile e Argentina, che stanno tentando di rientrare sul mercato e in particolare sull’import di zincati a caldo con prezzi piuttosto aggressivi. Qualcosa si muove senza modificare il quadro generale.

Qualcosa si muove, ma non cambia il quadro generale

Chiarendo che gli investimenti governativi stanziati in tutto il mondo non avranno effetti se non nel secondo semestre 2010, allargando la visuale alle giacenze presso i centri servizi, le scorte sono scese di molto (siamo al record negativo degli ultimi due anni) consentendo solo qualche “timido” acquisto in gennaio, ma senza assolutamente modificare nulla sul piano generale.

Quando un Centro Servizi ricostruisce le scorte?

Negli Stati Uniti i centri servizi sono a quota 3,6 mesi di forniture come livello di magazzino. In Italia si aggirano, più o meno sullo stesso livello, ma la tendenza in Europa è di scendere a 2 mesi prima di riprendere le ordinazioni. L’obiettivo è quello di un rialzo dei prezzi sviluppato di concerto con i produttori, ma si scontra con il “rigetto del prodotto” da parte del mercato. Questo significa che ci saranno partite a prezzi alti che i commercianti non vorranno ritirare, perché gli acquirenti non compreranno.

Quando finisce questa crisi? Nel 2011

Una domanda ricorrente da parte dei lettori, ma che sorge anche spontanea è: quando la crisi finirà? Francamente, va rilevato come sia appena iniziata. Comunque aiutando gli operatori a orientarsi, vanno fatte delle considerazioni già accennate nei precedenti rapporti metalli di LAMIERA, ma che qui adesso vengono non solo aggiornate, bensì approfondite. Comunque va detto che prima del secondo semestre 2010 la situazione non può cambiare, per cui si deve attendere il 2011. Questo passaggio è propedeutico a ogni ragionamento per evitare dubbi. Ora esaminiamone il perché.

BOX – 1 perché non prima del 2011 l’uscita dalla crisi?

I dati che provengono dal FMI indicano in -2,1% il PIL italiano in questo anno e un –0,1% nel 2010 per cui, solo nel 2011 si potrebbe pensare a una ripresa del mercato. In questo contesto va considerata l’ammissione dell’amministratore delegato della FIAT a fine gennaio, per un calo produttivo del 60% nelle vendite di autovetture in Italia, da cui un uso della Cassa Integrazione Guadagni senza precedenti nella storia della Repubblica. Ecco che qui emerge un dato nuovo da sviluppare in questo rapporto metalli. Per la prima volta nella storia dell’economia moderna del nostro Paese, il PIL arretra in questo modo e si licenzia in forme così massicce.
In tutti i convegni dedicati alla categoria sono sfilati il fior fiore degli amministratori delegati delle più importanti società recitando un unico testo: non abbiamo saputo prevedere la crisi. Ma certo che non l’hanno saputa vedere! guardavano solo nel loro mercato, perdendosi i macrodati dell’intero settore economico globale. Come trascurare che il riso ha un andamento simile al rame e quindi il costo degli appartamenti, ad esempio, completamente sganciati dalla realtà, ovvero in genere al 300% della quantità di cemento e mattoni necessari a edificarli? La crisi subprime non è nata a luglio 2008, ma è stata preannunciata almeno nell’estate 2007. Non si può agire su un mercato disinteressandosi di quanto accade sul più ampio spettro economico e questo è un difetto “mortale” specifico di chi opera sui metalli e l’acciaio.
Chiarito il primo concetto vediamo di spiegare, perché non prima del 2011 sarà possibile un assestamento. La crisi in corso non ha al momento cure perché è talmente nuova, che non ci sono strumenti di paragone per poterla gestire. In realtà il vero problema è che tutti si concentrano nel cercare soluzioni sul piano finanziario, monetario e economico, quando la radice del malessere è prettamente sociale. In definitiva, non siamo in crisi perché qualcuno ha smesso di pagare il mutuo di casa propria, ma si sta ridiscutendo tutto un modo di vivere e relazionare.

BOX – 2 Un reale cambio epocale

La Presidenza Obama, al di là delle apparenze, non è che sia particolarmente gradita a tutto il mondo, soprattutto quando si concretizza in sfarzi decisamente fuori luogo, dato il momento storico. Non solo, ma sono già iniziate (è un record) le manifestazioni contro Obama da parte dei cattolici statunitensi, che non accettano la liberalizzazione dell’aborto oltre quanto già praticato. Superando questi aspetti iniziali, occorre però considerare un dato nuovo di non poco conto e pertinente al nostro settore. Laddove la più influente e importante nazione del mondo, decide di ridurre drasticamente il consumo di petrolio con autovetture ora più attente nel rapporto miglia percorse e carburante utilizzato, effettivamente qualche segnale nuovo c’è. Questo vuol dire che nel futuro si consumerà meno, quindi si produrrà meno! E’ tutto un modo di fare che viene messo in discussione.
Nello specifico, un sistema di produzione non è mai fine a se stesso (ecco un errore strategico commesso dalla globalizzazione). Non si produce nella stessa maniera ovunque. L’azione di realizzazione di un manufatto e tutta la logistica che ne consegue, rappresenta lo specchio della società in quel determinato paese o nazione che sia. Si capisce che, così facendo, mettere i cinesi in una fabbrica è stata una mossa che adesso giustifica rivolte e ribellioni, in un paese estraneo al ciclo produttivo e alla produttività com’è intesa nel mondo occidentale (il dramma del dimezzamento di crescita del PIL per la Cina, non è solo per un ritorno alla sua povertà millenaria, ma lo scoppio di rivolte sociali tali da destabilizzare il Paese e la sua dittatura, quindi ponendo in discussione gli investimenti fatti dai nostri produttori in quel contesto. Ecco gli effetti di aver ragionato solo con il portafoglio su visioni miopi, non avendo considerato la specifica realtà sociale)
Ne consegue che a seconda della società dove si vive (islamica, rurale, industriale, di servizi etc.) c’è un determinato apparato produttivo. Oggi stiamo assistendo al rigetto, da parte del mercato, di un sistema di produzione che ha fatto il suo tempo. Si osservi, ad esempio, il prezzo del petrolio, riprendendo un concetto già precedentemente esposto in questa rubrica, ma che ora va studiato più a fondo. L’oro nero era 147 dollari al barile all’inizio dell’estate 2008, oggi, a gennaio è sui 46. La differenza è di 101 dollari che rappresenta il 68,7% del prezzo. A questo ragionamento va considerato il calo dei consumi: in pratica in tutti i continenti si è conteggiata una riduzione almeno del 3%. A conti fatti la differenza tra 68,7% e il 3% rappresenta la quantità di speculazione che grava sul petrolio, quindi il 65,7% del suo valore. Considerazioni analoghe valgono per molti altri prodotti, compresi quelli alimentari, l’acciaio, i rottami e tutti i metalli da noi utilizzati, che restano troppo spesso, a livello di prezzo, completamente sganciati dalla quantità di effettiva materia prima che contengono o che hanno richiesto per essere prodotti/estratti. In una parola, c’è troppa speculazione. Può reggere un mercato in queste condizioni? Bastano questi ragionamenti per dire che la crisi non è dovuta a qualche banca fallita, ma stiamo vivendo un cambio di sistema.
Tradotto in termini operativi, non è una crisi dalla quale se ne esce con una manciata di mesi, dove è sufficiente trincerarsi e “tenere duro”, al contrario serve che il sistema economico torni a essere specchio delle singole società nazionali, pur conservando un alto-altissimo grado di integrazione.

Perché questo accada servono almeno 2 anni. Ma nel frattempo cosa fare?

BOX – 3 Gli effetti reali della crisi

La recessione, unita alla stretta sul credito attuata dagli istituti di credito, ha prodotto di fatto al 31 dicembre 2008 un aumento di fallimenti (dati provenienti dall’Unioncamere) nell’ordine del + 47,3% a Milano e del + 563,5% a Napoli. Sono dati che lasciano pensare e giustificano quanto si vocifera per uno stato di crisi che interessa il 70% delle imprese del Nord Italia. Il quadro diventa più “grigio” quando l’analisi si estende anche ad altre città del nord come: Torino + 39,6% di fallimenti in 1 anno, quindi Brescia + 271,4% Bologna + 230,5% Ovviamente questi dati non tengono ancora in considerazione le domande di fallimento che pendono nei diversi tribunali, ma solo delle procedure che sono state concluse. Allargando l’analisi anche a questo aspetto, si nota a Monza un +25% rispetto alla tendenza 2008, Genova con un ulteriore +35% e comunque in Italia generalmente un +8%.

Il riscatto: un’ipotesi di reazione alla crisi di mercato a portata di mano delle nostre imprese
Che cosa può fare un’impresa che produce o commercializza metalli come acciaio, per navigare in queste acque? In pratica solo una cosa: recuperare e coltivare il rapporto con il cliente fidelizzandone le necessità. L’azienda non può più essere solo un negozio di vendita, ma deve diventare un punto di riferimento per i clienti con informazioni, formazione, snodo di punti di vista. In una parola bisogna cessare di essere solo affari, ma diventare comunità. Questa trasformazione, tutta in termini sociologici, cambia il modo impersonale di “fare impresa” avuto sino a oggi (infatti considerando i risultati che ha dato dal 2000 contando l’attuale crisi, non si è rivelato un buon sistema) Il rigetto dal mercato, più volte citato in questi rapporti metalli, vuol dire che un’impresa per restare in attività (e abbiamo visto quanto i fallimenti siano in questo periodo diffusi) deve assolutamente ricreare un tessuto di relazioni sociali e quindi umane con i clienti e fornitori. La vera battaglia per uscire dalla crisi si combatte sul fronte del “saperci fare” con le persone applicato sia verso i clienti, che soprattutto sui dipendenti che anche e non solo con i fornitori. Questo punto di vista, tipicamente sociologico, si connette con la pratica di marketing dove, la prima regola recita: si compra solo ciò che si capisce. Ovviamente perché il “cliente” comprenda la bontà del prodotto che vendiamo, dobbiamo aver addestrato i nostri dipendenti a ciò e anche interrogarci sul come saper relazionare correttamente con le persone, che abbiamo di fronte. In mancanza di innovazioni di tal portata si resta un numero, una delle tante imprese sul mercato.
Concludendo il dialogo è uno spazio, in cui si costruisce una relazione dotata di senso (aspetto che troppo spesso manca sul mercato, in quanto non si tratta solo di fare soldi, perché in questo modo spesso se ne perdono moltissimi) nel caso si dovesse cambiare il sistema di comunicare, va ricordato che si modifica anche la dimensione sociale del contatto.

La grande crisi della Cina

Tutti gli oratori in ogni convegno hanno sempre concluso i loro interventi affermando:comunque sia la crisi, la Cina proseguirà il suo trend, perché non può fare a meno del nostro acciaio. Addirittura a un industriale, abitualmente presente in queste occasioni, è stato anche detto: stia attento al pericolo di una rivolta sociale in Cina, che potrebbe mettere a rischio i suoi interessi. L’imprenditore risponde: non posso commentare questi aspetti, perché se l’Ambasciatore cinese sapesse che parlo di ciò, se ne avrebbe a male. A dispetto di questo formalismo che rifugge dalla sostanziale e pragmatica gestione d’impresa, la realtà che ci viene dal grande paese asiatico è molto preoccupante. In particolare si prevede come la Cina assisterà a un’ondata di proteste nel 2009 rinforzate dalla disoccupazione che alimenta il malcontento sociale.
Verso la fine di gennaio è stato pubblicato un rapporto, insolitamente duro, sul giornale Outlook (Liaowang) che riferisce come la contrazione economica potrebbe suscitare l’ira di milioni di lavoratori immigrati e di laureati senza lavoro.
Citando la fonte, il reporter di Xinhua, Huang Huo questi afferma: “senza dubbio, ora stiamo entrando in un periodo culminante per gli incidenti di massa. Nel 2009, la società cinese potrebbe assistere a ulteriori conflitti e scontri, che potrebbero mettere alla prova la capacità di governare a tutti i livelli del partito e del governo”.
Sul piano ufficiale, effettivamente il presidente Hu Jintao ha promesso di rendere la Cina “una società armoniosa”, ma dovrà vedersela con la crescente tensione per la riduzione dei posti di lavoro e i magri salari, oltre che con una lunga insoddisfazione per gli episodi di corruzione e confische dei terreni. La Cina ha davanti anche un anno di anniversari politici difficili, in particolare il 20° della soppressione delle rivolte in piazza Tiennamen nel giugno 1989. Una data che ha già galvanizzato la campagna “Charter 08” di dissidenti e attivisti che chiedono profonde riforme democratiche.
Le maggiori minacce al tessuto sociale cinese giungeranno dai nuovi laureati, che hanno davanti un mercato del lavoro sempre più difficile e salari in calo, nonché da un’ondata di lavoratori immigrati, che hanno perso il lavoro dopo la chiusura delle fabbriche rivolte all’export. La chiusura degli stabilimenti, i licenziamenti e le difficoltà nel pagare le rette per la sicurezza sociale, hanno già scatenato una serie di proteste, secondo quanto riferisce il rapporto.
Alcuni istituti di statistica hanno stimato che quasi 10 milioni di lavoratori agricoli abbiano perso il lavoro, e questo viene riportato sul giornale rischiando a sua volta di diventare “dissidente”. Se si includono i giovani laureati nel 2008 che non hanno trovato lavoro, ci saranno altri 7 milioni di persone alla ricerca di un lavoro come ha calcolato Huang, ricordando che nel 1989 la base della protesta sociale furono appunto questi ultimi.
L’obiettivo del governo cinese di una crescita del Pil dell’8% nel 2009 genererà solo 8 milioni di nuovi posti di lavoro (ne servono 17 per evitare le proteste)
Va ricordato che il Signor Huang è il capo ufficio di Xinhua nella città meridionale di Chongqing, da tempo focolaio di rivolte. Altre parti della Cina hanno registrato manifestazioni locali contro abusi della polizia, corruzione e la chiusura delle fabbriche. Per dovere di cronaca va notato come Ian Bremmer, presidente del gruppo di consulenza sui rischi politici nell’Eurasia, ha tratteggiato di recente uno scenario più ottimistico, escludendo una crisi di questo tipo nel 2009.(ma è noto come nessun occidentale si voglia esporre nel parlar chiaro su questo argomento)
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Qin Gang ha detto che il suo governo riuscirà ad affrontare i momenti difficili: “Abbiamo la capacità e la fiducia per garantire una crescita relativamente rapida e stabile dell’economia cinese e per assicurare una stabilità sociale”.
Gli economisti internazionali dubitano che il governo possa raggiungere l’obiettivo di una crescita dell’8% nel 2009, anche perché i criteri di calcolo del PIL non sono gli stessi con quelli in uso nell’Occidente.
Il report di Outlook ha anche sottolineato che il malcontento sociale ha radici più profonde delle sole preoccupazioni sulla crescita, perché include la qualità di vita. Questa è la Cina, ovvero quel paese che dovrebbe “comunque” portare fuori i produttori di acciaio e metalli dalla crisi.

Conclusioni

Utilizzando solo le ultimissime notizie, appena battute dalle agenzie di stampa, queste confermano che il consumo di acciaio in Ucraina è per il 2008 a -19,3 mentre la produzione statunitense si trova a -52,5% nel raffronto fra gennaio 2009 sul 2008. Va segnalato sul mercato turco una certa animazione, sia in offerta che domanda, sulla vegella ad alto contenuto di carbonio, il che conferma quanto questo mercato vada sempre tenuto sotto controllo. Di notizie su questo tenore ce ne sono parecchie, ma quello che serve per poterle ben gestire, è un metodo aziendale che connetta bisogni, finanza, giacenze di magazzino, prezzi, approvvigionamenti, clienti e fornitori. Senza metodo non si va da nessuna parte. Ad esempio, come descritto di seguito, nella trattazione specifica dei singoli metalli, oggi si risponde alla crisi tagliando la produzione. Ma questo lo sanno fare tutti e non rappresenta una strategia corretta. Al contrario ci si dovrebbe chiedere: alla luce dei nuovi consumi (vedi il recente piano energetico USA) qual è il ruolo dell’alluminio o del rame e quindi che prezzo dovranno sostenere? Sulla base di questi nuovi calcoli, servirà un certo quantitativo prodotto e quindi un determinato prezzo di mercato. Come si nota, lo spazio alla speculazione sui metalli non è contemplato nei nuovi equilibri.

LINEE DI TENDENZA – L’ANALISI DEGLI ULTIMI 6 ANNI CON I GRAFICI DEL LME

Andamento complessivo del mercato di Londra

Al 27 gennaio 2003 sul mercato del LME si scambiavano partite di metallo, nella sua generalità, mediamente a 1.162,5 dollari per tonnellata. Il 21 gennaio del 2009 questo valore corrisponde a 1.722,4. La differenza è pari a una crescita complessiva del 48% in 6 anni.

COMMENTO ALL’ANDAMENTO DEI PRINCIPALI METALLI

Prima di affrontare la rituale analisi, metallo per metallo, ecco qui un curioso modo di osservarne l’andamento: quanto il prezzo, in percentuale, si è evoluto in 6 anni. Laddove avessimo investito nel rame, ad esempio, a oggi, quanto avrebbe reso dopo 6 anni di contrattazioni?

Fonte: elaborazione di dati provenienti dal LME effettuata dall’analista redattore di questo studio

Sul piano più complessivo va notato come la Cina, in questo momento, stia ricostruendo le sue scorte di metalli leggeri, grazie a 2 distinti piani, uno governativo e l’altro locale. Il primo è quello proprio dello Stato che acquistando dai propri stabilimenti non produce incrementi di prezzo sul piano internazionale. In particolare è stato già accaparrato alluminio (290.000 tonnellate) zinco (300mila) e rame (700mila) A questa iniziativa ne segue una specificatamente locale (Provincia di Yunnan) per altri stock di alluminio, stagno, rame, piombo e zinco, ma non acciaio (per 5 milioni di tonnellate) come inizialmente previsto.

ALLUMINIO
Al 27 gennaio 2003 l’alluminio quotava 1.417,5 $/t; il 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 1.440. A conti fatti non c’è una gran differenza rispetto a 6 anni fa, in quanto restano solo 23 dollari di margine nell’apprezzamento, ovvero appena il 2%.
Sull’alluminio ci sono molte cose da dire. Se nel 2008 il consumo è aumentato del 10,7% nel 2009 le proiezioni sono solo per un 0,5% Di conseguenza, la produzione mondiale di 40 milioni di tonnellate, ha visto una rapida retromarcia da parte di tutti i produttori impegnati sia a chiudere che contenere l’attività nei diversi siti. Ovviamente un conto a parte, per l’alluminio, riserva la bolletta energetica. E’ interessante sapere che solo i russi e i canadesi alimentano i loro impianti con l’idroelettrico, il che gli consente di restare sul mercato a prezzi calanti. La conseguenza è che non si prevedono nel 2009 forti oscillazioni di prezzo sull’alluminio rispetto alle quotazioni odierne.

RAME
Al 27 gennaio 2003 il rame quotava 1.671 $/t; il 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 3.101. A conti fatti c’è una differenza, rispetto a 6 anni fa, di 1.430 dollari di margine nell’apprezzamento, ovvero il 86% nonostante il grande clamore che questo metallo abbia avuto fino all’inizio dell’estate 2008. Le giacenze di magazzino al LME (Rotterdam, New Orleans e Livorno) sono al massimo se considerate su una base di riferimento a 5 anni e ciò produce due effetti. Il primo è per una riduzione dei prezzi sui premi, anziché nella contrattazione del metallo effettivo (già a ottobre gli stessi produttori avevano praticato un taglio di 25 $ ai contratti di fornitura 2009). Il secondo effetto è quello di riconoscere prezzi più bassi al pronti rispetto le consegne future (detto in gergo “contango”) L’attuale fascia di oscillazione del prezzo del rame è collocato in un range tra i 3.100 e i 3.600 $/t. lasciando pronti gli operatori a vendere in massa, se si dovessero toccare prezzi più bassi.

PIOMBO
Al 27 gennaio 2003 il piombo quotava 451,5 $/t; il 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 1.140. A conti fatti c’è una differenza rispetto a 6 anni fa di 689 dollari. il margine nell’apprezzamento è del 153%. La naturale risposta dei produttori di tutto il mondo al calo di utilizzo della materia prima è ridurre la quantità, per alzare successivamente i prezzi. Questa strategia è stata seguita anche dal 2° raffinatore su scala mondiale (la statunitense Doe) che ha tagliato del 17% ovvero 1 milione in meno di tonnellate (da 6 a 5). I riflessi sono un incremento del prezzo. Ma attenzione, questi aumenti sono “artificiali” ovvero derivano da finanza creativa. Si basano sulla domanda a cui si adegua la produzione, non risultano invece, come dovrebbe essere, da uno studio prospettico sul futuro utilizzo reale del piombo nei nuovi assetti economici. Ad esempio, gli USA cambiando il loro modo di produrre e consumare, la domanda corretta sarebbe: nei prossimi 12-18 mesi il piombo, che ruolo avrà nei nuovi consumi? In gennaio, dopo un “tonfo” nelle quotazioni di quasi l’80% dal suo picco, il piombo ha recuperato un 15% grazie alle sostituzioni di batterie per auto (probabilmente a causa delle rigide temperature in Occidente) Sicuramente il drastico calo di produzione nel mondo dell’automobile, non consente di immaginare reali aumenti di quotazione del piombo sull’intero 2009.

NICKEL
Al 27 gennaio 2003 il nickel quotava 8.650 $/t; al 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 10.605. A conti fatti non c’è una gran differenza rispetto a 6 anni fa, in quanto restano solo 1.955 dollari di margine nell’apprezzamento, ovvero appena il 23%. Va segnalato come buona parte del suo aumento di prezzo il nickel lo ha conseguito nel mese di gennaio, quindi la performance qui esposta è decisamente molto recente.

STAGNO
Al 27 gennaio 2003 lo stagno quotava 4.440 $/t; il 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 11.050. A conti fatti c’è una differenza, rispetto a 6 anni fa, di 6.610 dollari di margine nell’apprezzamento, ovvero il 149%. Su questo metallo c’è l’ipotesi del piano cinese della Provincia di Yunnan, già ricordato, per 100.000 tonnellate acquistate da produttori locali e poste in stock. (complessivamente l’idea è per 1 milione di t. da suddividere sui diversi metalli) Da notare che le 100mila t. in stock rappresentano, da sole il 25% dell’intera produzione mondiale. Questo particolare la dice lunga sulle ipotesi di prezzo per il futuro.

ZINCO
Al 27 gennaio 2003 lo zinco quotava 793 $/t; il 20 gennaio 2009 questo valore è pari a 1.105,5. A conti fatti c’è una differenza, rispetto a 6 anni fa, di 312 dollari di margine nell’apprezzamento, ovvero il 39%. Va segnalato come buona parte della sua performance sia stato conseguito nel mese di gennaio. Sicuramente l’aumento di prezzo registrato è direttamente connesso alla chiusura del più grande sito estrattivo europeo (quello irlandese di Tara). La Compagnia ha motivato l’iniziativa con un normale ciclo di “manutenzione”, ma che risponde, in realtà, al generalizzato calo della domanda. In numeri, questo vuol dire 200.000 tonnellate di concentrati di zinco in meno e 40.000 di piombo. La conclusione è che i prezzi dovrebbero salire fino a scontrarsi con il “rigetto dal mercato”.