Il prossimo collasso sociale, politico e istituzionale della Cina. La Cina collassa

Il prossimo collasso di una dittatura comunista esprime una certezza storica. L’errore comune è quello che credere che il mondo sia regolato solo dalle necessità economiche. Si tratta di una visione che è alla base della stessa globalizzazione, voluta e pensata nei primi anni 2000 e che oggi esprime le sue crepe.

Senza andar così lontano, anche la stessa moneta unica è stata progettata passando sopra a ogni aspetto culturale, da cui la sua acuta crisi. Va ricordato ancora una volta come la moneta nazionale non sia solo un’unità di conto, ma espressione della cultura di un popolo. Si potranno dire tante cose, ma la cultura italiana non è quella francese e tantomeno tedesca, quindi legarle in una moneta sovranazionale è stato uno sbaglio.

Passiamo a il prossimo collasso della Cina.

L’idea di sviluppo occidentale, basato sul consumismo si crede che debba piacere a tutti e quindi anche ai cinesi come gli indiani, africani e sudamericani. In realtà le cose non stanno così, ma in genere non amiamo ragionarci sopra.

E’ indubbiamente vero che una mortalità infantile ridotta e una vita media più lunga, sono conquiste dell’umanità, come la lotta al vaiolo e alla pestilenza, ma oltre questo livello entriamo nuovamente nel campo culturale e antropologico (quello sempre dimenticato) per cui “il consumo” è un assetto culturale che cambia a seconda del posto dove si vive.

Noi non compriamo un paio di scarpe quando le nostre sono sfondate, ma soltanto perché ci piacciono. Ebbene questo automatismo non è affatto scontato in India o in genere in tutta l’Asia, l’Africa, il sud America, l’Oceania non tanto perché con minore capacità di spesa, ma anche perché ci sono diverse scale di valori rispetto l’Occidente.

Chi ha ragione o torto non è questo il tema qui affrontato, serve invece capire che credere di poter imporre, in tutto il mondo, un sistema di consumo (cultura) conforme al nostro basato sul consumismo-spreco, è una sciocchezza.

Se su questo concetto potremmo trovare un punto d’incontro, esaminiamo il caso della Cina alla luce di quanto abbiamo imparato da febbraio di quest’anno dalla crisi del mondo arabo. Osservando le dinamiche egiziane ad esempio (non difformi dalle altre nazioni del nord Africa) appena la popolazione ha goduto di un certo agio economico, si è rivoltata contro il governo, determinandone la repentina caduta.

In altri contesti l’agonia del regime è più difficile (Siria, Yemen e Libia) ma il concetto resta inalterato.

Finchè la Nazione è povera, non sente il bisogno di un adeguamento del livello istituzionale, per cui c’è una sorta d’equilibrio tra qualità della vita della gente e le loro regole sociali, incluso il funzionamento dello stato.

Studiando il caso del Marocco, a fronte di una maggiore ricchezza della popolazione, in occasione della crisi di questa primavera, prontamente la casa regnante ha modificato le regole costituzionali dello Stato, evitando la ribellione.

Torniamo alla Cina.

La struttura dello stato cinese è basato da su una dittatura comunista di vecchia data (50 anni fa) rimodellata e “indurita” dalla rivoluzione culturale. In queste ultime settimane è stato chiamato, nella ristretta cerchia del partito, un imprenditore anziché un politico, ma il sistema poliziesco e dittatoriale cinese è inalterato.

Questo è lo stato.

Dall’altro lato è innegabile che i cinesi abbiano goduto di un innalzamento della loro qualità di vita negli ultimi 10 anni. E’ anche vero che a Shanghai, in questo momento, ci sono 200mila alloggi sfitti di cui non conosciamo il proprietario. In realtà sono operai cinesi che hanno investito “nel mattone”, determinando così una bolla immobiliare pronta a scoppiare.

Al di là dei costanti cali di PIL mensile prodotto in Cina, per cui sceso sotto l’8% lo stesso partito comunista teme rivolte e tornando alla nostra logica degli equilibri, viene da se, che ci troviamo con gente a un livello di qualità di vita disarticolato, rispetto la struttura dello stato in cui vive. Da qui pensare al prossimo collasso sociale è piuttosto logico.

Con questo tipo di ragionamento investire 1 euro, oggi in Cina, è sciocco (lo era anche prima) e chi superficialmente lo ha fatto sta rischiando. Il guaio è che il rischio non è solo dell’imprenditore azzardato, ma coinvolge noi tutti nell’ennesimo spreco per salvare pochi.

Buon lavoro.