Da testimonianze emerge uno stato di solitudine del prigioniero da Parkinson che lo rende inacidito e rabbioso con se stesso e gli altri.

Ci sono rimedi nel senso che potremmo osare considerare controllabile o soggetta a regressione la malattia?

Ci sono rimedi alla rabbia e allo sconforto come stati emozionali per un prigioniero da Parkinson e più specificatamente potremmo fa regredire o controllore meglio la malattia riducendo l’apporto farmacologico, riabilitando funzioni emozionali e intellettive solitamente abbandonate in luogo alla rabbia e sofferenza? Detto in altri termini, osservando le persone affette dal Parkinson, abbiamo un mondo che soffre ma ama poco, senza immaginare che è dallo stadio emozionale che emergono delle novità sul piano generale e specifico della malattia. 

Sono stati registrati inusuali atteggiamenti isterici da parte sopratutto di coloro, che benché malati, ruotano intorno al mondo del Parkinson. Si precisa che si tratta di malati e non di prigionieri, in quanto il loro stato di malattia è ben conservato, pasciuto e desiderato. In pratica malati che vogliono restare tali, il che è strano benché sia la realtà. Colui che è nella condizioni del prigioniero da Parkinson è invece una persona completamente diversa. Quest’ultimo, sostanzialmente un ex malato, si muove per stabilire nuovi livelli di qualità di vita (quella che progressivamente sta perdendo) grazie all’uso della nuova teoria sociologica, procedendo in una sorta di militarizzazione della sua reazione attraverso snodi comportamentali a lui congeniali EDUCANDO le persone che ha vicino, ai nuovi bisogni la malattia progressivamente impone. IN QUESTO CONTESTO VA SEGNALATO ANCHE 1 (uno solo) CASO DI UN PRIGIONIERO DA PARKINSON CHE STA RIBALTANDO L’IMPORTANZA DELL’ASPETTO FARMACOLOGICO, IMPONENDO LA SUA VOLONTA’ NEL RECUPERO DI EMOZIONI PRIMA OFFUSCATE O NEGATE DAL FARMACO. DETTO IN ALTRI TERMINI, QUESTA PERSONA, AFFETTA DALLA MALATTIA DA DECENNI, HA DECISO, SOTTO CONTROLLO MEDICO, D’UTILIZZARE L’APPORTO FARMACOLOGICO SENZA RESTARNE SCHIAVO. IN PRATICA VUOLE RIBALTARE I TERMINI DEL PROBLEMA PER CUI IL FARMACO AIUTA MA SENZA RESTARNE VITTIMA. AL POSTO DELLO STRAPOTERE DEL FARMACO, OPPONE UN FORTISSIMO STATO EMOZIONALE IN GRADO DI RIGENERARE LA CAPACITA’ DI SENTIRE E PERCEPIRE LE EMOZIONI.

SE QUESTA ESPERIENZA FOSSE CONFERMATA E CONSIDERATA REALE, SI FA STRADA UN’IDEA IN QUESTO MOMENTO SOLO SPERIMENTALE, OVVERO CHE IL MORBO DI PARKISON E’ UNA MALATTIA NERVOSA A CUI E’ POSSIBILE OPPORRE UNA REAZIONE IN TERMINI DI VOLONTA’, AIUTANDOSI ANCHE CON IL FARMACO, MA SENZA RESTARNE SCHIAVI O VITTIME.

ATTENZIONE – ATTENZIONE CHE E’ SOLO UN’IDEA IN ATTO DI SPERIMENTAZIONE DA 2 MESI CHE STA OFFRENDO I SUOI PRIMI RISULTATI PARZIALI E LIMITATI. SE CONFERMATA OFFRE UN QUADRO CLINICO NELLA GESTIONE DEL PARKINSON COMPLETAMENTE DIVERSA AFFERMANDO LA REGRESSIONE/CONTROLLO DELLA MALATTIA GRAZIE A UN DECISO E FORTE ATTEGGIAMENTO MENTALE ED EMOZIONALE DELL’EX MALATO OGGI DIVENTATO PRIGIONIERO DA PARKINSON.

SI ATTENDE CHE LA SPERIMENTAZIONE POSSA PASSARE DA UNO STATO PRIMORDIALE A UNO SCIETIFICAMENTE PROVATO, MA LA DIREZIONE E’ TRACCIATA. 

Ci si scusa per il maiuscolo, ma è necessario per stabilire dei concetti, accennando all’ipotesi, in fase di studio, sulla regressione della malattia o comunque a un suo controllo (qui si considerano sinonimi i 2 concetti di regressione/controllo) ottenibile da una persona che ha smesso d’essere passiva (malata) per passare a una fase di forte reazione (prigioniero da Parkinson) attraverso un eccezionale utilizzo dei sentimenti e delle emozioni tali da risvegliare quella capacità di sentire, capire, osservare solitamente arrugginita o non utilizzata.

Seguiranno dettagli a beneficio di tutti coloro che vorranno smettere d’essere malati (soggetti passivi verso la malattia) per assumere una posizione più netta e decisa nel loro personale interesse a vivere una vita degna d’essere vissuta: il prigioniero da Parkinson, nuovo modello combattente per una civiltà della relazione paziente-malattia oggi spesso dimenticata.

Va comunque segnalato un punto debole in questo esperimento: la persona soffre di PAURA. La paura è la sua dominante su tutto e ogni cosa. In realtà la vera malattia non è tanto il Parkinson, su cui potremmo discutere, ma la PAURA applicata su tutto e ogni aspetto. Una persona che soffre di paura in forme così importanti e a volte paralizzanti, riesce allo stesso tempo a reagire alla malattia imponendo la sua sensibilità per poi tornare nel suo privato guscio fatto di paura. C’è una contraddizione seria in questi 2 estremi: paura e forte reazione emotiva in grado di dominare la malattia. L’aspetto è oggetto d’analisi.

Appunti per una teoria sociologia del Parkinson. Prof. Giovanni Carlini