Un entusiasmo che durò una settimana: i giorni di preludio alla Prima guerra mondiale

La personalità umana come capacità d’affermare un pensiero autonomo in accordo/disaccordo è sempre esistita nella storia dell’umanità, ma assume contorni certi e socialmente ritenuti validi, solo alla fine dell’Ottocento, in Occidente attraverso la formazione dell’opinione pubblica.

Purtroppo però l’esordio della coscienza pubblica, non essendo stata educata dalla classe dirigente di quell’epoca (per incapacità) ha subito dei grandi sbandamenti, in un senso come nell’altro, in una generalizzata isteria che è divenuta rilevante per la classe politica a causa dell’estensione del voto. Quest’isteria collettiva non va studiata solo nel periodo a cavallo delle incrociate dichiarazione di guerra, in Europa, tra luglio e agosto 1914 in esordio alla Prima guerra mondiale. In realtà l’opinione pubblica e il concetto di personalità sul piano sociale avevano già segnato diverse volte l’Europa nei primi anni del Novecento e in particolare, in corrispondenza, delle crisi internazionali che hanno fatto da preludio al grande conflitto. Il guaio, se così possiamo definirlo, è che di fronte a oceaniche e festose presenze d’entusiasmo alla guerra, ci abbiano anche creduto i capi di governo e delle case regnanti, portando ai loro occhi l’equivalenza tra la conservazione della corona o del governo, con il favore popolare. In Russia, lo Zar Nicola II°, oltre che al destino della nazione era soprattutto preoccupato della sorte della dinastia dei Romanov a 300 anni dalla loro ascesa al potere, tanto che per indurlo a firmare la dichiarazione di guerra, il ministro agli esteri Sazonov, non esitò a minacciare il futuro della casata regnante e la sua destituzione. Non molto diverso anche in Germania, con Guglielmo II° e così accade in Francia per il primo ministro e i suoi “bagni di folla” per l’ingresso nella Prima guerra mondiale

Dappertutto entrando nella Prima guerra mondiale si dichiarò: non c’è più sinistra o destra siamo tutti francesi, oppure, siamo solo tedeschi. Si venne a instaurare un’interazione tra l’entusiasmo della folla e la classe dirigente, sotto l’influenza di un’emotività così fallace, che nel corso di una sola settimana si trasformò in angoscia e silenzio. Credo che se qualcosa di drammatico possa essere annotato in quel periodo, è come abbia mal esordito l’espressione pubblica della personalità e il concetto d’opinione pubblica nella storia sociale del mondo.

Certamente sul piano pubblicitario la mobilitazione di massa per la guerra, rappresentò un intenso esempio di marketing sociale. Ad esempio, se lo Stato Maggiore francese temette un tasso di diserzione del 10% in realtà si mantenne al 1,5% e in Germania, la stessa mobilitazione di massa consentì ai socialisti d’arruolarsi come tutti gli altri per la difesa della Patria.

Il 28 luglio la dichiarazione di guerra austriaca alla Serbia

La dichiarazione di guerra ruppe un secolo di pace assicurato dal Concerto europeo. Prima del 1914 esisteva una sorta di tardo medioevo sociale in Europa e nel mondo, dove l’autorità dei nobili e poi dei borghesi era incontrastata. Con la guerra, indossando la divisa, la singola persona divenne cittadino nel pieno della sua titolarità, quindi un soldato, ovvero quell’elemento insostituibile per sperare di vincere una guerra che conservi e rilanci il benessere goduto. In questi atti cambiarono i rapporti tra lo Stato e il cittadino che furono già pensati nella Rivoluzione Francese, ma mai realmente applicati in tutta Europa, benchè preannunciati dalla violenta campagna culturale artistica. Interessante questo nesso tra l’arte che anticipa quello che il sociale sta per recepire, che diventerà successivamente politica.

Il bisogno d’innocenza

L’innocenza fu la prima preoccupazione dei governi tra la fine di luglio e l’agosto 1914. Per innocenza s’intende l’estraneità dalla responsabilità nella dichiarazione di guerra, anche se in realtà tutti hanno manovrato per partecipare alla Prima guerra mondiale. L’innocenza era strumentale a diversi aspetti:

  • convincere le masse socialiste a schierarsi nella difesa della Patria (soprattutto in Francia e Germania)
  • spingere la Gran Bretagna e altre nazioni in bilico a entrare in conflitto;
  • salvaguardarsi dalle responsabilità nel post guerra, all’atto della stipula della pace.

Comunque, indipendentemente dall’eventuale presunzione d’innocenza, al 2 agosto gli eserciti di Russia, Germania, Austria-Ungheria e Francia si trovarono non solo in piena mobilitazione ma la cavalleria russa stava sconfinando in Germania per saggiare le difese tedesche e l’esercito della Germania attraversando il Lussemburgo.

Un mito da sfatare: la mobilitazione tedesca irreversibile

Per organizzare la guerra, allora come oggi, è necessaria una fase ben definita che si chiama mobilitazione. Ovviamente mobilitare l’esercito è sempre un’azione minacciosa verso gli altri stati che mobilitano a loro volta. Lo sconto a quel punto è facile.

Per molti anni si è ritenuta la mobilitazione tedesca non una manovra diplomatica di pressione sulle altre nazioni (come ritenne a ragione la Russia) ma un meccanismo così preciso, oleato e determinato, che una volta avviato non sarebbe più stato possibile fermare.

In pratica mobilitare per la Germania voleva dire entrare in guerra. Questa mentalità, com’è stato dimostrato nel dopoguerra, non era vero. Così affermò il responsabile della sezione trasporti dello Stato Maggiore tedesco. Il problema si pose all’atto del ripensamento di Guglielmo II°, ai primi di agosto 1914 sulla scelta se battersi contemporaneamente su 2 fronti (Francia e Russia) anziché uno solo (la Russia). La richiesta dell’Imperatore al suo Stato Maggiore fu di cambiare la mobilitazione in atto per concentrarsi sulla Russia, lasciando per il momento la Francia. La risposta di von Moltke, capo di stato maggiore, a Guglielmo II° fu negativa, perché considerato “impossibile” un cambio di mobilitazione aprendo e contribuendo così anche a quell’esaurimento nervoso, che comportò da lì a poco la sostituzione con il Gen. Falkenhayn. Von Moltke era ossessionato dalla concreta possibilità di fallimento del piano Schlieffen, avendo probabilmente capito in anticipo, cosa stesse per accadere. Nonostante ciò o comunque nutrisse dei seri dubbi sulla riuscita del piano d’attacco, non ebbe il coraggio d’informarne l’Imperatore e lo Stato Maggiore. Quest’atteggiamento potrebbe essere stato motivato da diversi aspetti, non ultimo il timore reverenziale verso un piano di guerra letteralmente venerato come fosse un’opera d’arte dall’intera categoria militare. Qualsiasi cosa si possa dire a discolpa del Gen. von Moltke, non lo giustifica per la levatura e importanza del ruolo che ha assunto (controvoglia) confermandone l’inadeguatezza. Ecco dove si paga pegno quando si assegnano ruoli e funzioni a persone che, oltre a non esserne capaci, svolgono anche svogliatamente l’incarico. L’Imperatore era a conoscenza di quest’atteggiamento del suo capo di stato maggiore sin dal 1906, subentrando al Gen. Schlieffen. Il problema dell’inadeguatezza al ruolo di von Moltke, come da sua diretta affermazione scritta e verbale all’Imperatore, fu liquidato come “sciocchezze”.

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La neutralità belga

Un aspetto di grande importanza in quel periodo fu salvaguardare la neutralità del Belgio, già sancita nel 1839 dal Trattato di Londra, firmato dalla Prussia, Francia, Austria e Russia.

I tedeschi provarono più volte a chiedere il permesso di transito al Belgio per raggiungere la Francia, ma gli fu sempre negato. Conseguì che i tedeschi dovettero invadere il Belgio ottenendo due risultati infelici:

  • ritardarono l’applicazione del piano d’invasione della Francia, (piano Schlieffen) dovendo comunque affrontare 200mila soldati e la fortezza di Liegi;
  • provocarono l’entrata in guerra anche della Gran Bretagna.

E’ interessante notare come i belgi, almeno fino al 1914 non fossero affatto filo-britannici ma filo-francesi e in gran quantità, vicini alla cultura tedesca, quindi anche filo-tedeschi. Tutto ciò per effetto diretto dalla violenta campagna di stampa che gli inglesi adottarono contro le atrocità razziste e colonialiste in Congo, dirette dal sovrano belga Leopoldo II°. Si conferma ancora una volta come in Germania mancò l’abilità politica nel riuscire a tenersi i potenziali amici, anziché restare “ubriachi” di tracotanza e senso d’immortalità. Di fatto, con l’invasione tedesca del Belgio, si costrinse il re Alberto I° a chiedere assistenza al Re Giorgio V°, portando la Gran Bretagna in guerra.

Anche in Germania ci fu confusione

Non pare vero ma anche la Germania, in quei frangenti, produsse confusione in particolare verso l’Austria. Come il vertice politico tedesco, nella persona dell’Imperatore e del primo ministro Bethmann, premette perché l’Austria si fermasse alle porte di Belgrado per accettare un vertice internazionale, al contrario lo Stato Maggiore tedesco spinse Vienna nello schierare il grosso delle forze in Galizia contro la Russia, ignorando la Serbia.

Il punto consisteva in un errore concettuale dello Stato Maggiore austriaco che desiderava soprattutto togliere di mezzo la Serbia, non credendo che i russi potessero veramente attaccare. Per il Gen. Conrad la mobilitazione russa rispondeva all’ennesimo bluff già visto negli anni precedenti nella certezza che le divisioni russe non avrebbero varcato il confine con l’Austria. Di parere opposto era lo Stato Maggiore tedesco, che avrebbe voluto battersi in Francia e non anche contro la Russia, all’inizio della guerra, perchè affidata all’azione di contenimento austriaca.

Venne così a galla una storica incomprensione tra alleati. Il disegno tedesco di battere a ovest i francesi, mentre gli austriaci contenevano i russi a est, fino al definitivo rinforzo tedesco e la vittoria sui due fronti, benchè discusso non entrò nelle rispettive sensibilità. Vienna era oscurata dal bisogno di vendetta contro la Serbia, non solo per l’omicidio dell’arciduca Francesco Ferdinando, ma da una vicenda che nasce dal 1908 e si dipana attraverso le due guerre balcaniche. La Serbia era riuscita ad attrarre su di sé l’intero interesse austriaco, compromettendo le sorti della guerra. Quando il Gen. Conrad si rese conto dell’errore e modificò i piani, il 4 agosto 1914 ormai la pressione russa sulle linee austriache era così forte e determinata da condurre l’Austria a perdere la guerra e scomparire dal panorama politico d’Europa. Impressiona osservare come da un errore di schieramento, nelle primissime battute di guerra, non sia più stato possibile porvi rimedio nei successivi 4 anni di guerra. Peccato, inoltre, che in questa confusione la Germania non avesse avuto l’ardire di promettere ai russi il controllo degli stretti sul Mar Nero, in cambio del lasciar l’Austria nella sua resa dei conti con i serbi. Una mossa di questo tipo sarebbe stata degna di uno statista del livello di Bismarck.

Inghilterra si o Inghilterra no in guerra?

Un altro grande dilemma di quel periodo, fu convincere la Gran Bretagna a entrare in guerra al fianco della Francia, in assenza di un trattato che lo sancisse. Infatti i francesi non poterono vantare alcun accordo scritto con la Gran Bretagna, anche se in applicazione all’Entente Cordiale, nella coordinazione tra le flotte, lasciarono completamente scoperta la costa settentrionale al pattugliamento inglese, temendo a quel punto per eventuali operazioni anfibie tedesche.

Gli eventi che seguirono, in seno al governo britannico non furono affatto facili e la discussione, resa particolarmente accesa. Alla fine, dopo enormi pressioni francesi e ineguagliabili errori tedeschi (l’invasione del Belgio) anche la Gran Bretagna entrò in guerra con “sorpresa” dei tedeschi. Sull’irritazione tedesca per la scelta inglese, non c’è che confermare quanto puerile fosse il suo vertice politico. E’ vero che i francesi attendevano l’attacco tedesco sulla frontiera comune (a sud del Lussemburgo) ma sarebbe stato troppo “intelligente” attendere l’iniziativa francese (che sarebbe transitata comunque attraverso il Belgio) e concentrarsi definitivamente sulla Russia, calmando il fronte est ribaltando così il piano Schlieffen da utilizzare come contrattacco anziché attacco.

Comunque, di sé e di ma sono pieni i fossi, come recita un detto famoso. Una cosa è però certa: l’Inghilterra stava per sprofondare in una guerra civile per l’indipendenza all’Irlanda; l’entrata in guerra bloccò quest’eventualità.

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