Il concetto di letizia nel lavoro: un tentativo per migliorare se stessi e quanto ci circonda.

La letizia nel lavoro cosa vuol dire? Quanto qui scritto si può definire banale e tutto sommato d’ordinaria amministrazione, ma nella sua semplicità nasconde aspetti che tutti vogliamo e cerchiamo senza riuscire ad ottenere.

Ecco i fatti.

Recentemente sono stato “arruolato” in un certo tipo d’ambito lavorativo dove ho voluto appositamente e con volontà entrare con il sorriso stampato in faccia.

Ovviamente non avrei motivo per essere sempre “gioviale e disponibile” perché anch’io, come tutti, ho la tendenza a farmi travolgere dal quotidiano, ma la volontà m’impone d’essere disponibile, attento agli altri e il primo a salutare gli altri come a coinvolgerli (primo concetto di letizia sul lavoro).

A volte mi viene il dubbio che il mio lavoro in questo contesto non sia produrre idee, ma aggregare e mi sento anche come una sorta di “giullare”, però in effetti non racconto barzellette o provoco ilarità, al contrario mi sforzo di far sentire “a casa” gli interlocutori con cui ragiono insieme.

Cosa ha prodotto questo modo di fare? Non è affatto difficile immaginare cosa ne è scaturito: minore conflittualità tra le persone, una maggiore coesione, sopportazione, condivisione, umanità. Ottenuto questo livello di relazione sociale cosa abbiamo? Senza dubbio una qualità di vita sul posto d’impiego che sia vivibile, il che non è poco considerando anche il risvolto privato nella vita familiare di persone che tornano a casa non stressate e calde nella loro umana disponibilità, ma tutto ciò non è sufficiente per i datori di lavoro. Serve di più. (intanto abbiamo ottenuto il secondo passaggio del concetto letizia sul lavoro).

Questo ulteriore livello è, allo stadio attuale ancora in gestazione e quindi non è possibile tracciarne dei riferimenti, anche perché “il nuovo ambiente di lavoro” dove mi trovo, non mi ha commissionato alcuna evoluzione della socialità interna, sto solo io provando a capire se l’ottimismo e il sorriso sono contagiosi. Mi rendo conto però quanto questo stadio di buona relazione sociale non sia sufficiente per la Direzione aziendale la quale, se dovesse investire in ciò, vorrebbe qualcosa in più.

Questo di più non sarebbe una contrazione delle ore di malattia o dei permessi/ritardi, ma lavoro di squadra, ovvero una diversa formulazione del modo di fare “le cose”. In pratica una riorganizzazione. Tutto ciò vuol dire assimilare un concetto: la missione!

Non è possibile arrivare a questo stadio senza i passaggi precedenti.

Il concetto di “missione” merita un approfondimento. (siamo al terzo stadio della letizia sul lavoro).

Ho recentemente assistito a Collegi Docenti, formati da oltre un centinaio di professori, in più realtà scolastiche di Milano dove il senso della missione è andato completamente smarrito. Parlo di insigni e autorevoli personaggi, incastrati su aspetti minimi, dettagli a carattere economico, capaci di trasformare una povertà di fondo in miseria. Tutto ciò mette paura.

 

E’ stato smarrito il senso della missione.
Saper assumere una missione significa (in un’epoca di perfetta confusione dei ruoli, quindi apprestata da nichilismo) avere la capacità d’incarnare il ruolo di moglie o marito in una coppia, quindi di genitore in una famiglia, pertanto di cittadino nella società. Di conoscere la differenza tra conoscente, amico e amante nei rapporti privati. Saper infine valorizzare il giorno (carpe diem) senza permettere che finisca lasciandoci privi di un’idea originale.

Se tutto questo fosse anche solo un dubbio nella mente, allora la nostra collocazione nel contesto lavorativo subirebbe un rovesciamento: non si lavora per l’azienda che paga ma per se stessi, per sentirsi diversi al lavoro come nella vita privata.

Perché un coniuge tradisce o peggio s’annoia dando tutto per scontato? Ciò accade in quanto non siamo stati capaci di rinnovarci ogni giorno (l’arma segreta, quella fisica, spesso non è più tale nel tempo) Quando una persona non si rinnova senza produrre idee e fantasia per se stesso, non lavora più bene, avendo perso la missione utilizza il lavoro per ritrovarsi, ma questa strada spesso è un parcheggio. A questo punto “la missione” non è più solo un ben lavorare (che ne rappresenta appena la sintesi e conclusione) ma una qualità di vita per umani che hanno anni di vita limitati e bisogni senza confini. La missione è qualità di vita applicata anche al lavoro. Il datore di lavoro può elevare la produttività, introducendo il bisogno di una missione ai suoi dipendenti con una politica del personale che aggreghi, ascolti, sanzioni, allontani e integri, stimoli, accompagni e faccia crescere con formazione continua. Le persone sono come le piante, se hanno terra e acqua crescono diventando migliori. L’azienda è la terra, l’acqua è l’attenzione di una politica del personale, la crescita della pianta la produttività e infine, l’ossigeno il benessere per tutti.

Ecco la missione. Ogni persona faccia la sua parte (quarto e ultimo stadio della letizia sul lavoro)

L’imprenditore lanci una politica per le persone anche se fossero solo in 3, i dipendenti si chiedano se questo lavoro li migliora e come fare per crescere. Se insieme, ditta e fattore umano cresceranno, resteranno entrambi sul mercato in un momento in cui questo non è più scontato.