Lago di Salt lake, in Utha ragionando sulla Cina nella globalizzazione

Ragionando sulla Cina emerge l’intera fragilità della globalizzazione. La Cina è un paese di poveri. La povertà cinese deriva da una scelta politica. Ne consegue che morire di fame in Cina è una scelta. Negli anni Cinquanta sono morti per carestia ben 25 milioni di persone. A un certo punto, per uscire dalla guerra del Vietnam, il presidente Nixon aprì alla Cina. L’accordo fu semplice. Voi (riferito ai cinesi) siete poveri e avete bisogno d’aiuto. Noi (riferito agli americani) abbiamo bisogno di merci a basso prezzo per proseguire a consumare. L’accordo fu fatto. Dal 1975 in poi fino al 2001 fu un crescendo d’iniziative. 2 mesi dopo il crollo delle Torri gemelle, la Cina entrò nel WTO. Iniziò in questo modo la globalizzazione per come la conosciamo oggi.

Ragionando sulla Cina emerge subito qualcosa che non quadra. Può la dittatura favorire lo sviluppo economico? La risposta è SI. Non serve la democrazia per lo sviluppo economico. Su questo ci sono molto studi.

Dei fatti interni del più grande paese asiatico, francamente ci interessa poco. Il punto è un altro. Una Cina comunista non sta in piedi nel futuro. Prima o poi il regime crolla come tutte le dittature nella storia dell’uomo sono cadute. Cadendo la Cina cosa accade agli investimenti occidentali? Questo è il problema. 

Ragionando sulla Cina significa chiedersi qual’è il punto di pareggio dei troppi investimenti occidentali. Ricordo d’aver incontrato in un meeting il signor Antonio Marcegaglia, industriale di fama nazionale. Gli chiesi se considera al sicuro i suoi investimenti in Cina sapendo che è una dittatura comunista. Mi rispose; non dire queste cose, altrimenti il Console di Cina qui presente, se ne ha a male. Non è finita. A un importante funzionario della società assicurativa Heuler chiesi se gli fosse noto il pericolo cinese nell’immobiliare. Rispose affermativamente, ma che non fosse saggio parlarne.

Ragionando sulla Cina significa porsi delle domande a cui nessuno vuole rispondere. Questa è la superficialità e fragilità della globalizzazione.