Crisi nella società contemporanea: che cosa vuol dire e da dove emerge? 

Inizia, con questa serie d’appunti, una ricerca storica sull’origine dell’attuale crisi nella società contemporanea. Le argomentazioni sono squisitamente sociologiche e storiche e qui esposte per appunti affinché possano poi essere ripresi in una trattazione più completa. Lo scopo della ricerca non è tanto lo studio della STORIA, per quanto meritevole possa essere questo esercizio della mente, quanto l’indagine sull’origine della crisi nelle relazioni sociali che stiamo vivendo in quest’era globalizzata.

  • Una storia che narri dell’Italia, parte solitamente dal 1860, nel caso però volessimo discutere degli assetti culturali e degli umori degli italiani, serve partire dal 20 settembre 1870, con la presa di Roma. Porta Pia rappresenta ufficialmente la fine del Risorgimento e l’avvio della fase Postrisorgimentale, aprendo una frattura d’ampie proporzioni nel sentimento nazionale. Con la fine dell’eccitamento nella formazione della Nazione, l’entusiasmo si tradusse in depressione e crisi dello spirito nazionale, tanto che la storia si spezzò in due importanti considerazioni. Chi ritenne valido il periodo 1870-1914 e chi, al contrario, lo lesse come un fallimento e tradimento dei valori originali fondanti la Nazione. Tale spaccatura vive ancor oggi;
  • nella valutazione positiva del 1870-1914 ci furono il prof. Benedetto Croce e lo storico Luigi Salvatorelli, che considerarono l’entrata in guerra nel Primo conflitto mondiale un errore. Nel campo avverso, che ritennero negativo lo stesso periodo, militarono Volpe, Salvemini e Albertini, per cui la Prima Guerra mondiale fu il giusto coronamento al Risorgimento;
  • come e perchè l’edificio governativo di Giovanni Giolitti si sciolse sotto l’impeto dei nazionalisti, cosa ne generò la crisi? Resta ancor oggi un mistero! Certamente il senso della logica e l’impegno nel costruire qualcosa che stesse in piedi, con la caduta e la crisi del governo Giolitti, fu irrimediabilmente battuto;
  • la guerra fu certamente un atto rivoluzionario!
  • Alessandro Mussolini, padre di Benito, in Romagna, socialista del posto scrisse: non è certamente l’Italia sognata da Carlo Pisacane, Mazzini e Garibaldi. Che cosa c’entra il socialismo? Dalla crisi dei valori del Risorgimento, cercando una nuova casa ideale, il socialismo attrasse quel bisogno di fare/disfare in moto perpetuo, ma certamente non costruttivo. Si può affermare che passare al socialismo permise di risolvere quella crisi di coscienza tra chi proprio non riuscì ad ambientarsi nella costruzione dell’Italia;
  • chi furono questi disadattati che portano alla crisi l’Italia? Alla vigilia dell’Unità il 40% degli studenti stava studiando giurisprudenza. Tra il 1880 e il 1890 il numero degli studenti raddoppiò nelle scuole classiche, ma solo un +50% in quelle tecniche. Mancavano (e mancano) ingegneri, fisici, chimici e tecnici. Come afferma il prof. Thayer nel libro L’Italia e la Grande Guerra a pag. 16: significa migliaia di miserabili medici e avvocatuncoli, fertile terreno per quel senso di pessimismo e di eroismo tutto letterario che già era stato impersonato dal Carducci e dall’Oriani. 
  • la crisi del senso nazionale non fu solo italiana, ma anche francese e britannica, ma in Italia ebbe gli effetti peggiori. Lo stesso Georges Sorel, passato dal sindacalismo al lealismo monarchico, pensò di trovare nel nostro paese molto più seguito, e così fu;
  • questa polarizzazione dello scontento “cosmico” che afflisse l’Italia, trovò inizialmente una casa comune nel socialismo, come già detto, che passò successivamente nelle file del nazionalismo più esagerato. La stessa borghesia rinunciò a un suo partito, per confluire in una nebulosa gassosa perennemente in crisi, fatta di scissioni e aperture (verso il mondo cattolico ad esempio) che si compattò intorno all’irredentismo e al nazionalismo. Ecco che in questo modo la guerra diventò la risposta al disagio nazionale;
  • Giosuè Carducci fu ipercritico verso la Chiesa e verso i nuovi assetti nazionali. Gabriele D’Annunzio se ne proclamò il successore. Thayer scrive pag. 13: in questo campo il Carducci contribuì a creare una tradizione, per quanto destinata ad essere molto peggiorata da colui che si era autoproclamato suo successore, Gabriele D’Annunzio.

Gli elementi dell’endemico stato di crisi nazionale sono così tratteggiati, quegli stessi che sono ancora vivi oggi, negli anni Duemila in era globalizzata.