Ampie riflessioni sulla crisi greca

di Giovanni Carlini

Due mesi fa riflettendo sulla crisi greca per questa testata, ho immaginato che un ritorno al regime dei colonnelli non fosse una prospettiva così remota.
Puntualmente è arrivata la critica di un lettore nell’informarmi che i carri armati greci erano ancora in caserma. Il mio ruolo però non è quello di scrivere l’ovvio o quanto stia avvenendo, al contrario debbo assumermi il rischio d’esplorare nuove prospettive. Seguendo questa scia, insistere sulla degenerazione della crisi sociale, politica ed economica greca, mi pare uno spreco d’inchiostro. Il punto è un altro:

– l’uscita della Grecia dall’euro è un atto salutare per tutti;

– si conferma quanto l’euro sia una moneta “killer”, adeguata per economie forti in grado di competere con il dollaro ma pericolosa per l’Italia, Spagna, Irlanda e Islanda;

– è ancora di più palese come la UE sia solo germano centrica, adottando una moneta che serve gli interessi della Germania ma non dell’Europa. Va anche aggiunto che se la UE fosse almeno a guida anglo-italo-franco-tedesca, avrebbe ancora un senso, ma in queste condizioni, con un direttorio tedesco o al massimo tra Parigi e Berlino, la si può anche sciogliere, lasciando sopravvivere solo il mercato comune (la vecchia idea di MEC)

– non solo, ma se in 2 anni la UE non è riuscita ad aiutare un paese di 10 milioni d’abitanti come la Grecia, cosa potrebbe fare per l’Italia o la Spagna? Ancora una volta si dimostra l’assenza di politiche reali in ambito UE.

Prima conclusione: una UE così strutturata la si può sciogliere nel suo aspetto politico e monetario, lasciando solo l’integrazione tra mercati.
Entrando più nel dettaglio sulla Grecia, rispondendo a un imprenditore che mi chiede se abbandonarla o restare, ho risposto che invece è proprio il momento d’entrare. Ecco i motivi:

1) la via nazionale nella ricerca di soluzioni alla crisi è sempre la migliore! La reintroduzione della dracma, ad esempio, avverrebbe su valori molto bassi di cambio contro euro e dollaro, il che renderebbe non solo le merci greche, ma la stessa industria del turismo ellenico, eccezionalmente attraente a danno d’Italia, Spagna, Francia e Croazia.

2) Se poi i greci con i guadagni da turismo, lanciassero una grande campagna per il solare e fotovoltaico, potrebbero anche ridurre la loro bolletta energetica dovendola pagare con una moneta svalutata.

3) La Grecia ha imparato la lezione scoprendo come l’assenza di un importante settore manifatturiero, sia solo fonte di povertà. Ne deriva che l’intera penisola ellenica chiederà a un paese vicino la via, gli strumenti e le strategie per raggiungere un certo livello d’integrazione nel Mediterraneo e di costruzione di posti di lavoro per competere con una disoccupazione giunta al 50% della forza lavoro (in Italia è al 36% per i giovani e complessivamente al 9,8%) Che tutti ricordino il limite di disoccupazione che una democrazia può tollerare (non oltre il 30% come dimostrò l’ascesa alla Cancelleria da parte di Hitler nel 1933 sulle macerie della Repubblica di Weimar)

4) In questo ruolo di tutore allo sviluppo della nuova Grecia, sia sotto dittatura militare che con un governo ostile all’euro e alla UE, è molto probabile che si candidino i francesi (onnipresenti sui cadaveri della storia) o i tedeschi. Dopo aver stupidamente perso la Libia per le ingerenze francesi, sarebbe saggio che il Governo italiano (politico o tecnico che sarà) non dimentichi anche le potenzialità verso la Grecia, che comunque vanno concretizzate dal singolo imprenditore in nuove aperture commerciali.
Seconda conclusione: la nuova Grecia ha bisogno d’interlocutori per diventare moderna. Sapranno gli italiani svolgere questo lavoro dove tedeschi e francesi hanno fallito per superficialità? Qualcuno potrebbe chiedersi perché considerare la UE immatura nella gestione della crisi greca; semplice! Non si risolve un collasso socio-economico con massicci invii di denaro. Al contrario sarebbe stato saggio applicare dazi sulle merci d’importazione cinesi, realizzando contemporaneamente strutture produttive in Grecia, assumendo greci perché possano scegliere se diventare i nuovi “cinesi” d’Europa.
Sicuramente, alla luce dei fatti è difficile credere nella delocalizzazione e in questa globalizzazione, perché è il LAVORO, ovvero la quantità di posti attivi in una nazione a farne la ricchezza.
Le politiche d’austerity vanno disprezzate se non parte integrante di un disegno evolutivo della Nazione, teso a riassorbire la disoccupazione in regime di produttività. Questa mentalità nasce dall’importanza di riconoscere AI CONSUMI il ruolo di motore dello sviluppo per una Nazione, a patto che si siano alti tassi d’occupazione.
Terza conclusione: la crisi può anche essere difficile, ma per uscirne serve rivedere la globalizzazione, limitando gli effetti della delocalizzazione (furto di ricchezza alla nazione) aumentando il numero di posti di lavoro in regime di competitività e redditività. Dal lavoro sgorgano i consumi e il riavvio del ciclo interno, sapendo che non si può vivere d’export, come i cinesi e i tedeschi si erano illusi.

Buon lavoro