La globalizzazione è praticamente fallita. Ora serve un nuovo modello economico. Potrebbero essere Brexit o Trump le nuove prospettive?

Amichevolmente uno studente chiede aiuto per la sua tesi di laurea. Ne emergono 2 interventi che poi lui ha rielaborato. Senza premeditazione, per ben sistemare la tesi di laurea in economia, ne è nato un punto di vista sulla globalizzazione. Buona lettura.

INTRODUZIONE

La tesi di laurea qui presentata emerge da una riflessione più ampia, svolta negli anni, sull’efficacia della globalizzazione. Normalmente il dibattito in corso oscilla da un versante sociologico molto critico a uno economico solitamente entusiasta. Chi ha ragione?

E’ palese che questa “ragione” vada ricercata sia tra le acute e critiche riflessioni del sociologo Zygmunt Bauman, sia tra i nuovi dubbi di Richard Sennett (anch’esso sociologo) sia nell’entusiamo forzato di un Joseph E. Stiglitz (economista e uno dei padri della globalizzazione)

Nel dibattito in corso sulla validità ed eventuale futuro della globalizzazione, solitamente ancora nessuno ha inserito una corretta analisi della parabola dell’esperienza low cost in ambito di trasporto aereo. Perché?

Evidentemente il low cost è considerato un tema periferico ma, nonostante ciò, studiandolo in questa tesi di laurea in economia si desidera lanciare il “sasso nello stagno”.

Tutte le previsioni e i budget, che furono predisposti negli anni intorno al Duemila considerarono come scontati 2 aspetti:

  • il verticale aumento del trasporto passeggieri per motivi professionali su rotte brevi, quasi in sostituzione del mezzo ferroviario;
  • un’estrema fiducia sulla globalizzazione come motivo di produzione di ricchezza in Occidente.

Queste premesse non si sono confermate perché:

  • c’è stato l’11 settembre 2001 che ha comportato oltre a una guerra, ancora in corso, una radicale modifica dei tempi d’imbarco;
  • la globalizzazione ha tradito le aspettative portando con la delocalizzazione massicce quote di disoccupazione in Occidente, che hanno colpito quella fascia di tecnici e manager che avrebbe dovuto volare low cost.

Il fatto di non vedersi drammaticamente confermate le proiezioni, sembra sia la maledizione della globalizzazione, perché anche nella nota vicenda dei subprime si è verificata la medesima dinamica.

Il low cost ha ancora un futuro benchè trincerato oggi nel segmento del turismo? Certamente la globalizzazione è in crisi o alla fine della sua era. Il futuro si chiama Brexit e forse anche Donald Trump.

 

LA STORIA DEL TRASPORTO AEREO 

Furono i tedeschi i primi a intuire le potenzialità nel trasporto aereo commerciale, tanto che nel 1909, a Francoforte nacque la Società DELAG per volontà del conte von Zeppeling.

La DELAG operò dal 1910 al 1913 trasportando in tutto 34mila passeggieri: un record. La Prima guerra mondiale ovviamente fermò ogni ulteriore applicazione civile del mezzo aereo.

Da questi primi cenni si è passati ai 123 milioni di persone che hanno volato nel solo 2006. Il fattore interessante, in particolare per una tesi d’economia, è il passaggio dai grandi vettori (tipico è il Jumbo Jet) degli anni Settanta, a quelli a medio raggio oggi in uso per assicurare l’economicità del volo. Mi spiego. L’idea delle compagnie aeree di profitto, negli Settanta-Ottanta fu quella d’operare con vettori di grandi dimensioni (fino a 550 passeggieri) su rotte importanti. Tipico è il caso di Londra-New York. In alternativa ai grandi scali, su corridoi ad alta remuneratività, come Milano-Roma o Los Angeles-San Francisco, si operò attraverso l’intensità dei voli (uno ogni ora nell’arco diurno). Questa filosofia non resse producendo degli importanti fallimenti nelle compagnie aeree.

Oggi il meccanismo per produrre reddito si basa su rotte molto corte, aeroplani piccoli ed economici al fine di convergere in grandi scali aeroportuali chiamati HUB (Hub and spoke).

Il meccanismo è il seguente. Un passeggero che da Pisa volesse raggiungere Los Angeles, prende un piccolo aereo per recarsi a Milano che è già un HUB italiano. Nonostante ciò proseguirà per un HUB di primaria importanza come Londra, Parigi, Amsterdam o Francoforte per confluire in un altro aereo capace di coprire medie distanze. Questo vettore (così sono chiamati gli aerei commerciali di linea), pur essendo ad esempio KLM (compagnia di bandiera olandese) in realtà, nello stesso volo, raggrupperà più compagnie aeree allo stesso tempo: l’americana United, le europee Alitalia ed Air France oltre ai passeggieri con biglietto KLM. In questo modo l’aereo di linea diventa un vagone dell’aria, compartimentato tra diverse compagnie aeree pur di volare a pieno carico.

L’economicità emerge dalla valorizzazione delle piccole tratte confluenti in un HUB principale su base continentale, qui si scatenato le grandi strategie dei costruttori aerei.

Interessante è notare quanto avvenuto nell’estate 2016 tra le scelte della francese Airbus e l’americana Boeing. Mentre gli americani proseguono a costruire aerei per rotte di media dimensione (non oltre le 15 ore di volo senza scalo) i francesi si sono impegnati nel realizzare ancora grandi aerei per 550 posti. Il risultato pratico è deludente per il consorzio Airbus. A fronte di 1100 aerei previsti di grandi dimensioni, ne sono stati realizzati sono 192. Il riferimento è all’A380 rispetto il Dreamlimer americano.

Queste sono le grandi linee del pensiero strategico delle compagnie aeree.

In tal contesto, come il topolino tra le montagne cerca con affanno una sua dimensione, il trasporto low cost è l’anima di questo studio.

La morale da trarre da quanto qui esposto, ricorda gli anni Ottanta in Occidente e il sistema dei distretti italiani quando si confermarono come i protagonisti della produzione di nicchia. Al di là dell’attuale crisi dei distretti industriali, causata da altri aspetti rispetto al mercato di riferimento (l’assenza di manager e ingegneri in produzione con un imprenditore del tipo “faso tuto mì”) certamente è interessante osservare come oggi il trasporto aereo trovi i numeri della redditività spezzettando le rotte aree.