La crisi del sindacato comunista italiano, noto in sigla CGIL non è un fatto nuovo, come ogni decadenza le cause sono radicate nei decenni scorsi. Questo tipo di “sindacato” si è sempre caratterizzato per l’assunzione in proprio di una parte del problema essendo del tutto incapace di considerare qualsiasi vicenda nella sua interezza. Ad esempio, l’ultimo di una lunga serie, a Milano, il sindacato comunista espone sulla facciata della sede un manifesto che inneggia alla protezione delle donne dalle violenze. Ancora una volta la CGIL è capace di sbagliare.
Il “problema” delle donne e dalla violenza, in particolare nelle vicende di femminicidio, è sbagliato considerarlo in una netta divisione tra il genere femminile nel ruolo di vittima e il maschio colpevole. Non si può approdare ad un’analisi, qualsiasi possa essere, spaccando la vicenda tra una vittima e il colpevole. La realtà è diversa e più complessa.
La prima domanda da porsi è chi ha scelto quel maschio che poi si rivolta contro la sua dolce metà? Perchè i coniugi o la coppia non è stata capace d’auto educarsi?
Il problema non è solo delle donne che non sanno educare i loro maschi o di quest’ultimi che degenerano, ma della coppia.
La violenza tra due persone che si sono scelte per vivere insieme è un problema di coppia, non di uno o dell’altro.
Questo ragionamento è troppo elevato e complesso per il sindacato comunista che preferisce prendere le parti di qualcuno a caso pur di fare scena e visibilità artificiale quanto superficiale.
Un profilo di ricerca così intenso e avvolgente, in grado di considerare la coppia come il naturale interlocutore d’ogni vicenda che sia valida per figli ed adulti, esula dal sindacato che non ha gli strumenti, la cultura e capacità dialettica per poterlo sviluppare. Eppure la CGIL cerca disperatamente d’entrare in ogni spazio possibile, anche non pertinente per sopravvivere.