Cosa c’è di veramente sbagliato nel mondo del Parkinson italiano?

Meditazione intorno al concetto innovativo noto come il prigioniero da Parkinson.

Visitando l’ambiente del Parkinson italiano e leggendo come ascoltando i pareri di molti, emergono degli aspetti strani che sono:

– il mondo del Parkinson è strutturato con una comunicazione che parte dall’alto e cerca d’interessare i malati;

– questi malati non interagendo con il vertice e tra loro (se non in forme minime) ricevono solo imput dai vertici, per cui si convincono ancor di più e vogliono convincere gli altri, che sono assolutamente malati!

la convinzione granitica d’essere e volersi sentire malati è in perfetta controtendenza con il concetto de il prigioniero da Parkinson, che fa della reazione (militarizzazione) al morbo un passaggio strategico. Non solo, ma questa reazione organizzata al male, non deve avvenire in forma individuale bensì collettiva, ovvero facendo parte attiva di un gruppo (reale o virtuale che sia) dove valorizzare aspetti specifici della propria personalità (il concetto degli snodi comportamentali già affrontati nel concetto de il prigioniero da Parkinson) La nuova teoria sociologica del Parkinson parte quindi da una domanda: sono un malato (rassegnato alla fine) oppure un prigioniero (che tenta la fuga e vuole lottare)? Da questo snodo iniziale nasce una mentalità completamente diversa e particolarmente attiva;

– l’aver inibito la comunicazione tra persone affette dal male, o comunque imposto dall’alto ogni soluzione, idee o punti di vista, ha “ucciso” il malato/il prigioniero da Parkinson che oggi è sbandato a se stesso, nell’estrema convinzione d’essere un malato in attesa di morire, attraverso un purgatorio strutturato sui 5 livelli di degradazione della malattia. Questa estrema volontà nel sentirsi malati conduce alla vergogna di se stessi e nell’oggettiva incapacità nell’educare il partner alle nuove necessità che il male impone a il prigioniero da Parkinson.  Emergono così quelle storie di solitudine nella coppia e anche ancora di vergogna dove elemosinare l’amore.  Uno stato di disagio esistenziale così acuto, che fossilizza la posizione del malato, rappresenta un dramma che anticipa la morte;

– anche l’attuale redazione del cosiddetto “libro bianco” parte solo dall’alto verso il mondo del Parkinson squalificandosi nella portata e messaggio. Cosa serve un libro bianco sul Parkinson così ridotto se scritto restando dietro una scrivania? Questa è una delle contraddizioni più eclatanti del mondo ufficiale del Parkinson dove non c’è nessuna forma di partecipazione o mobilitazione della base;

– ho osservato alcuni siti web di Parkinson, attualmente seppelliti da informazioni “per addormentare” il lettore anziché coinvolgere! Tantissime news di cui se ne perde il conto, spesso anche solo di “buonanotte, buongiorno, etc..” che mimano una comunità senza che la stessa possa emergere;

– riprendendo la critica al cosiddetto libro bianco (molto costoso ma poco efficace – si parla di 250mila euro) senza un’adeguata mobilitazione/partecipazione della base, la stesse domande del questionario, facendo solo un esempio, emergono da un’idea dall’alto senza chiedere effettivamente ai malati o a il prigioniero da Parkinson cosa vorrebbe gli fosse chiesto. L’assenza di una presenza reale del paziente, mistifica il tutto, rendendolo formale e inutile, ovvero giustificativo di una direttivo che vivacchia senza nulla di concreto ed efficace. L’efficacia emerge solo da una spinta alla partecipazione reale dei pazienti, tutto il resto, specie in una patologia nervosa, è chiacchiera! Al contrario si sarebbe dovuto agire in maniera che fossero i diversi prigionieri a intervistarsi tra di loro (magari riconoscendo 10 euro a testa, perchè no) ma da questo attivismo saremmo giunti alla reale condizione della malattia e soprattutto mobilitazione nel fare qualcosa per il Parkinson con i protagonisti del Parkinson! Queste tesi però sono considerare eresia!

da quest’inversione della logica (partire dall’alto per decidere di cosa hanno bisogno i malati o persone della condizione de il prigioniero da Parkinson) emergono tutti quegli atteggiamenti offensivi e di grande immaturità, che sono stati riscontrati in malati veri, convinti d’esserlo, che reagiscono scimmiottando offesa e straparlando senza ovviamente saper formulare una sola idea quando vengono a contatto con la TEORIA SOCIOLOGICA AL PARKINSON. 

– atteggiamento d’immaturità che si riscontra anche nella struttura (quella che dall’alto pretende di dirigere il mondo del Parkinson) quando oppone un secco diniego a ogni confronto in uno sdegnato silenzio. Tutto nasce in novembre 2014 quando ho riferito all’associazione Parkinson Italia, a Milano, che la via da loro intrapresa era errata e mi sono offerto di correggerla con loro e alle loro dipendenze e direzione, dimezzando i costi e mobilitando 20-25mila persone affette dal morbo. Tutto qui. Questa è la grande offesa arrecata al mondo del Parkinson, il quale reagisce a ogni nuova idea con il silenzio e lo sdegno. E questo sarebbe un direttivo a cui dare fiducia?

Addirittura nel centro di Gravedona, l’idea e il concetto che ruota intorno a il prigioniero da Parkinson, piace ai giovani terapisti, ma è rimasto tutto sotto silenzio, nonostante sia stato scritto al direttore sanitario.

Appare come se il direttivo o i diversi centri che pretendono di dirigere questo mondo, dovessero conservare e proteggere delle loro posizioni di potere costruite su qualcosa che porta a morte (non si muore di Parkinson ma dalle diverse conseguenze sofferte). E’ vero che i fabbricanti di armi anch’essi vivono di morte e il paragone è diretto, ma laddove la guerra potrebbe avere un senso per sopravvivere come Nazioni e culture, qui, nel caso del Parkinson non dovrebbero essere tutti uniti nel trovare una qualità di vita migliore?

Possibile che sia stata burocratizzata anche l’agonia a morte certa? Indubbiamente è così. Si stanno inequivocabilmente difendendo delle posizioni di potere, costruite come castelli di sabbia sulla spiaggia, in attesa dell’alta marea.

Ebbene la TEORIA SOCIOLOGICA PER IL PARKISON nella sua sintesi de il prigioniero da Parkinson proposta in Italia (ma qui trascurata) e quindi rilanciata negli Stati Uniti (e quanto sta avvenendo) esprime quell’alta marea in grado di fare o di contribuire a quella tabula rasa di un eccesso di potere costruito sull’agonia alla morte. 

Addio attuali direttivi del Parkison, specie quello di Milano, avete svolto il vostro ruolo ibernando ogni possibilità di crescita sociologica tra pazienti; ora è tempo che emerga una nuova generazione che impari dagli errori commessi.