QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

 

Militarizzare la reazione al morbo per il prigioniero da Parkinson

Che brutta parola militarizzazione: sicuramente dopo questo intervento non mi resta che la via Crucis sotto flagellazione!
Nel mondo del Parkinson ho incontrato molte persone, però solo un piccolo gruppo mi ha veramente scavato il cuore e la mente, tanto che le rispetto con grande dignità. Loro insistono nel ricordarmi che sono nella condizione de il prigioniero da Parkinson, mentre io vedo solo degli uomini e delle donne in difficoltà, a cui non ci si può esimere dalla solidarietà, partecipazione lasciandosi educare al loro dolore e testimonianza di vita.
Ebbene da queste colonne della vita, che si ergono dal dolore offrendo un esempio, ho imparato un concetto che è la fonte dei miei “guai” nel mondo del Parkinson:
reagire!
reagire alla malattia,
reagire al dolore,
reagire alla rassegnazione,
reagire all’oblio,
reagire al senso d’abbandono e allo smarrimento,
reagire, reagire, reagire, e ancora reagire.
Un signore con cui sono in corrispondenza mi scrive: a noi, malati, (il prigioniero da Parkinson) si parla sottovoce, scandendo le parole come se fossimo bambini a cui spiegare cosa fare e come.
Ebbene Signori, (ecco perchè so che andrò crocifisso per questo) io dico che è sbagliato compatire, ma è necessario:
allenare,
spronare,
addestrare,
sforzare,
elevare,
rinforzare una dignitosa e virile risposta al morbo, tanto da scatenare non nervosismo e isteria (ne subisco e osservo in grande quantità – troppa) ma voglia di battersi a testa alta e determinazione contro le difficoltà quotidiane che la malattia impone. 
Ovviamente tutti diranno che è esattamente quanto viene fatto ogni giorno e ci credo! Non basta. Credo in un sistema che la smetta di compatire e aggreghi, organizzi nel reale e virtuale, che stimoli una dignità di risposta alla malattia.
Le mie idee personali sono che se è il corpo l’epicentro del male, ne il prigioniero da Parkinson, è esattamente dal corpo che si debba partire per una riappropriazione della propria dignità (vedi precedente studio sulla fisicità compensativa e nel contatto corpo e corpo, pelle a pelle per gestire il tremore). La fisicità è, secondo me, da quanto ho studiato e osservato, la risposta a un corpo che non risponde ai comandi e desideri.
Qui mi fermo perchè la fisicità è un terreno minato dove fraintendere è la norma. Come afferma una Signora di Torino, solo nel faccia a faccia ci si capisce al volo nella genuinità del messaggio che si lancia (quante cose ho capito studiando con rispetto questa Donna). Il mio pensiero riconoscente va a un Signore del Nord Est che non è tenero con me, ma ho capito da lui diverse cose. Ringrazio tutte le persone che mi hanno educato al dolore perchè solo allevandomi alla sofferenza inumana di questo morbo, sono giunto all’idea che l’epicentro è agire da dove il male è partito e per fare questo serve una nuova disciplina, non afflittiva ma di sano orgoglio (non presunzione o isteria).
Orgoglio nel non vergognarsi mai più! il prigioniero da Parkinson è tale perchè reagisce, altrimenti è un malato, condannato alla sua fine.
Come Milton Erickons distinse tra malato e paziente, oggi serve evolvere da malato a prigioniero, ed è il prigioniero da Parkinson che pretende amore senza sentirsi compatito o umiliato nel chiederlo al coniuge (testimonianza reale che mi ha scavato un abisso nella sensibilità di ricercatore e studioso) In questo modo serve collaborare tutti quanti per ri-definire il comportamento de il prigioniero da Parkinson con una accesa rivalutazione della fisicità (e anche sessualità) che porti alla socialità e alla dignità (parole che fanno rima). Da un corretto equilibrio tra bisogno espressivo e fisicità-sessualità, può rinascere la persona, ormai libera dalla condizione de il prigioniero da Parkinson.
Volutamente non mi sono spinto oltre, in questa analisi, che avrà i suoi approfondimenti se richiesti.
Appunti di sociologia in una Teoria sociologia per il prigioniero da Parkinson. Giovanni Carlini