I conti non tornano sia in ambito formativo nelle scuole e università sia di conseguenza anche nel lavoro

I conti non tornano a partire dal mondo della formazione (formazione che non forma)

Giorni fa il Preside di un’importante scuola di Milano convoca tutti i docenti in apposito collegio e dice: il primo anno di corso soffre di un 40% d’insufficienze nelle discipline matematiche/economiche, percentuale che si riduce al 28% nell’ultimo anno di studi. Conclusa la descrizione dello stato di crisi, la domanda che il Dirigente rivolge ai docenti è: e voi cosa state facendo? Qualcuno si è alzato timidamente è ha fatto presente che i test d’ingresso, per alcuni studi sono stati aboliti, per cui si sta lavorando su persone completamente negate in quell’iter di formazione. Altri hanno più semplicemente detto che i ragazzi non vogliono studiare.

Quindi i conti non tronano anche dal mondo aziendale

Una delle più importanti imprese manifatturiere d’Italia mi dice: avevamo assunto come capo reparto un candidato che avevi scartato, quindi non ti abbiamo dato retta e questo signore 2 settimane dopo l’assunzione ci ha lasciato perché “non gli piace l’azienda e il reparto”. Quindi abbiamo rifatto la selezione e preso in considerazione quello che tu stesso ci hai consigliato, ma al secondo colloquio, come ha visto il reparto dove avrebbe dovuto lavorare, ha rifiutato la nostra offerta di lavoro a tempo indeterminato. Si tratta in entrambi casi d’italiani, sui 35 anni, che hanno perso il posto di lavoro, attualmente in mobilità e stanno cercando di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Va precisato che il reparto in causa è una carpenteria, dove si lavora il ferro e si trova in un capannone industriale costruito solo qualche anno fa, quindi gode di spazi molto ampi e un soffitto luminoso quanto alto. Questo reparto è inserito in un ciclo di produzione, su altri capannoni della stessa impresa, che impegna ben 120 persone distribuite in 7 reparti.
Comunque va preso atto che la fabbrica non piace agli italiani.

Esperienza personale

Nelle mie lezioni “martello” gli studenti nel ricordargli che sono disoccupati al 37,1% quando un anno fa era quasi il dieci per cento in meno. Quindi svolgo la lezione partendo dalla cronaca economica della mattina stessa e dal telegiornale della sera prima. Da questi aspetti risalgo alla dottrina. Sviluppando una lezione di questo tipo, credo che i ragazzi riescano a collegare l’attualità con la teoria. Nell’ambito di questo corso di studio, sono ormai 4 mesi che insisto con questa strategia (come del resto nel corso degli ultimi 12 anni) ebbene, l’altro giorno ricevo una email da un mio studente, decisamente preoccupato, per aver sentito in televisione che la crisi economica sta peggiorando anziché migliorare, con importanti chiusure d’imprese e consequenziale perdita di posti di lavoro. Il ragazzo mi chiede: lei cosa ne pensa?

Analisi dei dati

La mia più grande perplessità è come faccia un mio studente a scoprire in televisione quanto gli spiego appassionatamente giorno per giorno.
Nella migliore delle ipotesi si potrebbe affermare, ma solo ad essere “buoni”, che lo studente abbia capito il messaggio televisivo perché riconosciuto simile alle lezioni, ma anche in questo caso sono serviti 4 mesi per svegliarsi? Ovviamente quanto qui descritto non mi consente di dormire bene perché mette in discussione ogni livello di propria capacità con il dubbio d’essere non idoneo alla missione di spiegare, analizzare e far crescere crescendo.
Dall’altra parte la figlia di un imprenditore che sta studiando all’università è talmente presa e impegnata nelle sorti dell’azienda, che non riesce a fare a meno di seguirne gli eventi (addirittura si reca in colloquio con un diplomatico dell’America Latina per capire le possibilità d’internazionalizzazione dell’azienda) senza ovviamente fare bene sia l’uno che l’altro. Purtroppo, in questo caso, l’azienda non si rende conto di rinunciare deliberatamente alla parte pensante del futuro.

Il passaggio generazionale dove i conti non tornano

Non ho dubbi che nella mia gioventù (parliamo di oltre trent’anni fa) i miei educatori e genitori si fossero lamentati della mia superficialità di giovanotto. Per di più in quegli anni ci fu tutto il ‘69 e gli annessi anni di piombo subito dopo. Va però considerata una differenza. Diplomatomi a luglio del 1978 il 16 ottobre avevo vinto un concorso pubblico con un contratto a tempo indeterminato in mano, rifiutando un posto al Monte dei Paschi di Siena, che venne a cercare nelle scuole personale adatto alle loro necessità.

Conclusioni sui conti che non tornano

Come sociologo, quanto mi fa soffrire, è osservare studenti parcheggiati a scuola che diventano adulti costantemente scontenti, partecipando magari anche al 42% di quelle coppie che si separano. Mettendo insieme dati apparentemente diversi tra loro, emerge un’interpretazione negativa sui giovani intesi fino ai 35 anni. Lasciando perdere ogni polemica è probabile che le imprese debbano varare degli importanti processi di formazione interna, supplendo a una scuola che non riesce e una società confusa, ma il cui prezzo in bassa produttività è direttamente sofferto dal sistema della imprese.
In realtà i fondi ci sono, quelli dell’INPS e di altre fonti, ma quanto si vuole qui sottolineare non è un corso tanto per essere fatto, ma un iter formativo permanente che qualifichi la nostra industria con persone nuove e addestrate per un mondo che cresce in una platea di distrazione enorme.