Crisi aziendale: quando l’imprenditore da retta a troppi professionisti

Analizzando il come e il perchè delle crisi aziendali, recentemente è stato possibile studiare un caso di grande interesse.

I fatti si sviluppano in un’azienda commerciale. L’imprenditore veramente sagace, “bello”, preparato e intelligente, gestendo la sua impresa da 30 anni, arriva a un dunque. Proseguire nella sola commercializzazione non consente la corretta quadratura dei conti. Questo in particolare nel passaggio generazionale. Grazie a un intenso lavoro di squadra, l’azienda progetta e realizza un sistema per migliorare il suo lavoro. Non solo lo applica presso i suoi stabilimenti, ma riesce anche a venderne degli esemplari agli amici. Gia questo è geniale! Tanto di cappello all’estero dell’imprenditore!

Inutile dire che i conti dell’azienda sono “perfetti”. Oggettivamente in questo caso, parlare di crisi aziendale sarebbe veramente fuori luogo. Invece le cose stanno diversamente.

L’imprenditore chiama a se un direttore di marketing per studiare come collocare all’estero l’invenzione. Si tratta di una maturata e vecchia conoscenza che ha assistito, 8 anni prima, alla nascita dell’idea. Finalmente, ci hanno messo 8 anni per collaborare, ma alla fine ce la fanno!

Il direttore di marketing mettendosi al lavoro:

  • presenta una strategia verso l’estero;
  • propone delle varianti strutturali (ad esempio al certificato camerale aggiornandolo)
  • chiede che l’opera sia brevettata;
  • cerca i contatti all’estero a cui proporre l’opera affinché sia recepita e nazionalizzata, quindi realizzata in loco riconoscendo i diritti all’impresa italiana;
  • chiede d’aprire una pagina web dedicata da affiancare al sito dell’azienda (da rilanciare)
  • propone un progetto di finanza agevolata da 100mila euro (che sarà bocciato perchè il tasso d’interesse è giudicato un 0,1% in più di quello che banche amiche applicherebbero)
  • propone un progetto di finanza agevolata sulle future spese di sicurezza (non realizzabile perchè i tempi dell’impresa sono più lunghi realizzando nuovi stabilimenti)
  • propone di delocalizzare la progettazione del sistema in Sicilia, per godere di 500mila euro di fondo perduto su 1 milione di euro di finanziamento (nasce momento di crisi tra il manager e l’imprenditore, considerando la Sicilia terra di mezzo)

Ciò che lascia perplessi è che nel rapporto manager-imprenditore tutto è sano e cordiale. Come passano appena 2 giorni, ogni aspetto viene dall’imprenditore contestato e acidamente criticato? Perchè? 

Ecco il cuore della crisi aziendale.

L’imprenditore si pavoneggia nell’essersi circondato di un gran numero di professionisti, che sono certamente “elevati e il meglio”, ma di un meglio così protettivo che ne oscurano le visuali imprenditoriali. Ecco che con troppi galli a cantare non si fa mai giorno. Il leader dell’azienda, certamente deve considerare il punto di vista dei suoi diversi/troppi consulenti, senza però restarne schiavo e influenzato. Tant’è vero che non riesce ad accogliere e collaborare con un vero manager che è spesso con lui in azienda. Roso dai dubbi, sofferente dai ripensamenti, eternamente in bilico, confessa il fallimento di una precedente grande iniziativa dove si è speso “fin sopra i capelli”. Guarda caso, come questo uomo gentile, tentando “un lancio” in ben 2 casi, non riesce. 

Probabilmente l’insuccesso A non ha le stesse cause del fallimento B, però è un fatto che ci sia un bell’imprenditore che non riesce ad essere stabile nelle sue decisioni. 

Quali insegnamenti trarre da questo caso di studio?

a) ragionare con la propria testa (sempre!) Non farsi schiavi di troppe voci che VOGLIONO ESCLUDERE DALL’AZIENDA NUOVE FIGURE CHE NON CONTROLLANO O NON CONOSCONO. ECCO IL PUNTO. L’IMPRENDITORE E’ ORMAI OSTAGGIO DI QUESTO CLAN CHE LO “protegge”. In tal modo i più professionisti (acidi e ipercritici) non vogliono alcun confronto soffocando l’azienda, aprendone così la fase critica;

b) quando anche se per la prima volta nella storia di questa impresa, si accoglie un manager, è saggio lasciarlo muoversi dentro un tempo ragionevole (6 mesi) e su un budget (piccolo o grande che sia);

c) le grandi aziende sanno rischiare, ovvero sono capaci di muoversi in una cornice di fiducia-delega. L’imprenditore in questione, super attivo, è anche soffocato da se stesso, non avendo tempo da dedicare alla super visione del manager appena entrato in squadra. QUI E’ L’ERRORE. IL MANAGER NON VA CONTROLLATO MA GESTITO, OVVERO GLI SI DANNO DEGLI OBIETTIVI, UN TEMPO, UN SUO BUDGET E SI ATTENDONO I RISULTATI; 

d) non solo, ma ricordare ogni giorno al nuovo e unico manager che “è un costo” (anzichè un investimento) è quanto di peggio si possa fare per motivare il professionista.

In quadro di questo tipo è un vero peccato vedere una bella azienda che apre alla crisi aziendale. Quando uno se l’è andata propria a cercare e poteva evitarla dando fiducia. Ecco un punto cruciale. Il piccolo imprenditore non sa gestire il manager perchè nel suo grande cuore non c’è spazio per quella fiducia che si trova invece nel cervello.

Certamente il manager di marketing avrebbe (se ne avesse avuto il tempo anzichè stroncarlo)

  • addestrato e organizzato la forza vendita
  • rivisto i criteri operativi del direttore commerciale
  • stimolato il mercato nazionale per l’attività tradizionale dell’azienda
  • stimolato il mercato mondiale per l’opera ingegneristica creata dall’azienda
  • studiato un nuovo livello tecnologico per l’opera sganciandola dalla possibilità di copia per quelle già vendute
  • immesso in azienda una nuova aria e ritmo (ecco quello che probabilmente tutti temono) dove in costanza d’amicizia, così importante in quel contesto, si sarebbe operato con criteri aziendali nel piano di marketing, controllo costi, internazionalizzazione, ricerca e sviluppo, fondi pubblici a sostengo.

Peccato, quando si sprecano le opportunità, ne risente l’intero “made in Italy”.