Bilanci di acciaio: considerazioni sul quinto convegno chiamato “Bilanci di acciaio” nell’ambito dell’industria siderurgica

di Giovanni Carlini

Ho avuto il piacere di partecipare a un convegno tra imprenditori d’aziende italiane in merito alla crisi in sviluppo dal 2008 che ha tutta l’intenzione di proseguire nei prossimi anni, mettendo in discussione le scelte già fatte, quindi ponendo in crisi lo stesso concetto di globalizzazione (fallimento della globalizzazione) e dell’insensata fiducia sulla Cina (una dittatura in evoluzione). La crisi sulla Cina deriva da un concetto semplice: l’economia dimentica troppo spesso la politica e le differenze culturali.
Il convegno Bilanci di acciaio mi è piaciuto, tanto da starci bene insieme a molti operatori del settore siderurgico nazionale. Ascoltando i diversi interventi e confrontandoli con quanto già udito alla televisione o letto nei giornali, alla luce di una congiuntura preoccupante, viene da porsi molto domande.
a) tutti si lamentano della crisi, ma non ho notato movimenti aggregativi tali da poter ridurre le spese gestionali, potendo agire sia sul mercato nazionale, sia in quello internazionale. Si potrà obiettare che non è un contratto in rete che possa determinare la sopravvivenza di un’impresa o meno, ma certamente sarebbe un salto di qualità e di mentalità per uscire dalla crisi. Ecco la parola “magica” che ricorrerà spesso in questo articolo: mentalità. Nelle imprese del settore siderurgico, quelle che producono appunto bilanci di acciaio, si nota una importante carenza di elasticità mentale confinandosi nel già noto, fatto, detto; in pratica una ossessiva ricerca di sicurezza.

L’imprenditrice Sonia Zinfolino, una piccola ma costante protagonista di bilanci di acciaio, attiva nel settore rottami nella prima periferia di Torino, afferma: «per essere pratici e senza pensare addirittura a contratti in rete, nel passato abbiamo cercato una maggiore coordinazione tra operatori, fissando delle regole comuni di “buon comportamento”, ma poi è saltato tutto perché almeno uno dei partecipanti non ha rispettato i patti. Altro che bilanci di acciaio! Il punto è molto semplice: siamo troppi per un mercato che si restringe sempre di più e non riusciamo, in nome del personalismo, ad uscire della trappola dell’azienda padronale. Non ci crede più nessuno ed è anche una questione di mentalità!».

Rosanna Teti è una donna d’acciaio nel centro Italia e afferma: «la crisi? Molti hanno venduto a clienti grossi, che non hanno pagato e adesso si riducono a vendere quel poco necessario che serve per vivere. Molto spesso ci facciamo la guerra tra poveri con riduzioni di prezzo, per fare cassa, pur di collocare il prodotto senza capire che in questo modo ci suicidiamo. Il concetto di bilanci di acciaio a questo punto si annacqua e diventa burro. Le assicurazioni non coprono più vivendo alla giornata. Se lo Stato con la leggi di stabilità non spinge l’edilizia e l’agricoltura a muoversi (costruire capannoni, linee d’irrigazione, ristrutturare poderi) il Paese si ferma e con esso noi. Non serve dare 14 euro in più al mese in busta paga, riducendo il cuneo fiscale e alzando poi le tasse sulla casa di proprietà, al contrario è necessario riavviare la fiducia e le motivazioni imprenditoriali perché l’economia riparta. Siamo fermi come mentalità. I soldi, chi li ha non li investe e tutto si ferma»;

b) perché le note difficoltà che si stanno cronicizzando non hanno portato gli imprenditori delle diverse categorie della filiera dell’acciaio a rivolgersi all’esterno della propria impresa per rivedere la loro organizzazione? Su questo aspetto, e confrontandomi con più distributori proprietari, anche d’imprese importanti, emerge una specifica difficoltà nel farsi aiutare da personale esperto. Specie se nella gestione d’impresa. Il problema non risiede nel costo o nella carenza di personaggi adeguati e disponibili, bensì nella mentalità. L’imprenditore siderurgico è solitamente capo di un’impresa padronale quindi con visuali limitate;

c) sulla propensione ad internazionalizzarsi c’è poi un sostanziale disinteresse, causato da imprese disabituate a proiezioni di potenza oltre la zona acquisita negli ultimi decenni. In questo modo il concetto stesso di bilanci di acciaio viene meno.

All’atto della conclusione del suo intervento, il rappresentante della Banca d’Italia si chiede: «non sarà necessario un ripensamento del sistema stesso di business della filiera dell’industria siderurgica, per assicurarsi un futuro?» Tradotto in termini più diretti, se non cambia la mentalità sarà il mercato a decidere chi resterà.